Agricoltura e sviluppo del territorio
Il turismo enogastronomico. Luci e ombre di un fenomeno in ascesa
Intervista a Valerio Mancini
di Marco Sbardella | 07 02 2024
Di cosa parliamo in questo articolo?
L’intervista a Valerio Mancini (Direttore del Centro di ricerca divulgativo della Rome Business School) esplora il ruolo cruciale del turismo enogastronomico, prendendo le mosse dal report “L’impatto del turismo in Italia” di cui Mancini è coautore. In un paese dove il cibo rappresenta non solo un elemento fondamentale della cultura ma anche uno dei pilastri dell’economia, il turismo enogastronomico è diventato un aspetto imprescindibile del turismo italiano, riconosciuto a livello mondiale per l’eccellenza del Made in Italy. Questo fenomeno, amplificato dall’innovazione digitale e dalla crescente consapevolezza sull’origine dei prodotti, solleva questioni importanti riguardo la sostenibilità e l’autenticità dell’offerta turistica.
Ambito di Intervento
Agricoltura e sviluppo del territorio
Questo articolo contribuisce alla ricerca del Centro Ricerche sAu sul valore sociale e culturale del cibo, per ridefinire e attualizzare il valore di costruzione di comunità che il cibo non può che continuare ad avere, tanto dal punto di vista della sua produzione quanto da quello del suo consumo
Introduzione
Riteniamo che il cibo sia un elemento imprescindibile del patrimonio culturale del nostro paese e, di conseguenza, che il turismo enogastronomico rappresenti un aspetto chiave del turismo culturale. Per questo, dopo aver consultato il report sull’impatto del turismo culturale in Italia realizzato dalla Rome Business School, abbiamo intervistato Valerio Mancini – coautore del report – per discutere con lui delle prospettive di questo settore. L’intervista affronta le implicazioni del digitale e della sostenibilità per il settore del turismo enogastronomico, esaminando le criticità e le opportunità che ne derivano. La diffusione di piattaforme come Instagram e servizi come i meal kit a domicilio hanno trasformato le modalità di promozione e fruizione dell’enogastronomia, con un impatto significativo sulla percezione dei prodotti italiani all’estero. Con Mancini abbiamo discusso dell’effetto della gentrificazione indotta dal turismo di massa sui centri storici italiani e di come l’innovazione possa giocare un ruolo chiave nel mantenere viva l’identità culinaria del paese senza scadere in stereotipi. Infine, l’intervista affronta la sfida di preservare l’unicità del patrimonio enogastronomico italiano nell’era della globalizzazione e del turismo mordi e fuggi, sottolineando l’importanza di una strategia che valorizzi le diversità regionali e promuova una cultura del cibo consapevole e sostenibile.
Un ruolo importante all’interno del report “L’impatto del turismo in Italia” è dedicato al turismo culturale. Se il cibo è a tutti gli effetti un elemento culturale, e nel nostro paese anche uno dei più importanti, quali sono a suo parere le prospettive del turismo enogastronomico?
«Come abbiamo evidenziato nella nostra ricerca, il turismo enogastronomico non è più un settore marginale o soggetto a tendenze e stagionalità; si è trasformato in un elemento fondamentale del turismo, che a sua volta costituisce uno dei pilastri dell’economia italiana. Questo è particolarmente vero in alcune regioni, quali Toscana, Veneto e Sicilia, dove l’enogastronomia svolge un ruolo cruciale non solo a livello economico, ma anche culturale.
CibiAmo la Toscana
CibiAmo la Toscana è un progetto vincitore di un bando del PSR della Toscana in partenza a inizio 2024. Il partenariato è composto da ANCI Toscana, Associazione Nazionale Città dell’Olio e Qualità&Servizi. Il Centro Ricerche sAu, insieme all’Accademia dei Georgofili, partecipa al Comitato Scientifico del progetto.
In Italia, siamo orgogliosamente consapevoli del valore del nostro Made in Italy, che è universalmente riconosciuto come sinonimo di eccellenza. Questo riconoscimento è talmente radicato che è stato creato un Ministero dedicato alle imprese e al Made in Italy, e si sta persino considerando l’istituzione di un liceo specializzato in quest’area. Questo dimostra come il settore agroalimentare, vitale per il nostro paese, si sia integrato armoniosamente con un altro settore chiave: il turismo. Nel corso degli anni, questa fusione ha dato vita a un approccio di National Branding, un concetto che trovo spesso utile nelle mie analisi. In sostanza, il turismo enogastronomico rappresenta un vero e proprio marchio distintivo dell’economia italiana.
Quando discutiamo di enogastronomia, ci riferiamo a un ambito che ha incontrato notevoli difficoltà durante la pandemia di Covid, subendo un arresto significativo. Tuttavia, negli ultimi anni si è registrato un marcato incremento di interesse e investimenti in questo settore. Un esempio emblematico è l’aumento della spesa alimentare legata all’enogastronomia e al turismo enogastronomico, che ha visto un’impennata: nel 2022, rispetto al 2021, si è osservato un incremento del 73% in Italia e del 70% in Spagna. Questa tendenza non si lega esclusivamente alla situazione pandemica, ma indica piuttosto un trend in crescita. Infatti, come emerge da un’altra ricerca che abbiamo condotto per la Rome Business School, l’Italia è sempre più orientata verso un settore economico di grande rilevanza, ovvero la Silver Economy.
La Silver Economy, o economia d’argento, non deve il suo nome ai capelli bianchi o argentati della popolazione over 65 che ne costituisce il nucleo centrale, ma al loro consistente potere d’acquisto, superiore rispetto ad altre fasce d’età. Tale potere d’acquisto è particolarmente significativo in un paese con una popolazione anziana come l’Italia, che si posiziona al secondo posto a livello mondiale per età media più elevata, subito dopo il Giappone. La Silver Economy mostra un interesse marcato verso il turismo enogastronomico per diverse ragioni. In primo luogo, questo tipo di turismo è strettamente legato alla cultura del buon cibo, aspetto che attrae molti paesi, soprattutto i nuovi protagonisti del turismo mondiale come i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e altri quali Argentina, Indonesia e Thailandia. Questo settore risulta particolarmente appetibile anche per regioni note per la loro ricca produzione vitivinicola, come la Toscana e il Veneto, oltre che per aree che negli ultimi anni si sono distinte per le loro eccellenze, quali la Lombardia, la Sicilia, la Puglia e l’Abruzzo».
Parlando sempre di turismo culturale, emerge un quadro positivo per il nostro paese per quanto riguarda il digitale e la sostenibilità. Quali sono, da questo punto di vista, le principali criticità e opportunità che interessano il settore del turismo enogastronomico?
«Negli ultimi 5-10 anni, con un focus ancora più marcato negli ultimi 3, si è registrata una crescente attenzione verso l’origine dei prodotti. In questo contesto, il periodo di lockdown ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta: avendo più tempo a disposizione, le persone hanno iniziato a informarsi sull’origine di ciò che acquistavano, dedicando maggiore attenzione alle etichette dei prodotti. Da una ricerca è emerso che nel 2022 il 46% degli europei ha espresso un marcato interesse per l’origine dei prodotti che consumano. Tuttavia, questa percentuale lascia intravedere una realtà non del tutto positiva, poiché sottolinea come una maggioranza, il 54%, non presti attenzione alla provenienza di questi beni. Risulta ancor più significativo notare che il 45% dei consumatori italiani evita prodotti contenenti conservanti e coloranti, preferendo opzioni biologiche.
L’enfasi sulla provenienza dei prodotti, indicata dai marchi DOC e DOP, necessita di essere supportata dalla digitalizzazione, considerando che i prodotti oggi assumono sempre più una dimensione digitale. Questo processo presenta vantaggi e svantaggi: tra i vantaggi vi è l’utilizzo della blockchain, un algoritmo che facilita la tracciabilità dei prodotti e l’identificazione di quelli autentici rispetto a quelli contraffatti. Questa tecnologia si rivela economica, globale e intrinsecamente digitale, elementi che possono suscitare preoccupazione tra le lobby tradizionali.
Un esempio significativo della digitalizzazione nel settore alimentare è rappresentato dalla crescente popolarità in Italia dei meal kit a domicilio. Attraverso semplici clic dal proprio computer, i consumatori possono ordinare casse di frutta e verdura a chilometro zero, consegnate direttamente a casa. Questo servizio ha conosciuto una rapida espansione durante il periodo del Covid, parallelamente all’aumento dei servizi di delivery. Un’app che merita di essere menzionata, per la sua unicità nel panorama digitale, è Too Good To Go. Questa applicazione si dedica alla riduzione dello spreco alimentare, coinvolgendo supermercati, ristoranti e altre attività del settore alimentare che possono cedere a basso prezzo prodotti che altrimenti rimarrebbero invenduti, e ha registrato un notevole incremento di utilizzo negli ultimi anni.
Riguardo al turismo, osservo che la tendenza più rilevante è l’importanza crescente che i turisti stranieri attribuiscono all’origine dei prodotti quando visitano l’Italia. Un esempio significativo è la cosiddetta “pizza digitale”: alcuni ristoranti, mediante una semplice foto scattata con lo smartphone, possono fornire informazioni sulla provenienza di determinati ingredienti. Così, il nostro smartphone diventa uno strumento capace non solo di identificare l’etichetta di un vino, ma anche di riconoscere la provenienza di specifici prodotti. Un caso emblematico è la burrata, che un tempo era apprezzata principalmente nel sud Italia, in particolare in Puglia, e oggi è diventata un articolo di grande richiesta all’estero, al pari della mortadella. Questi due prodotti sono i più richiesti dai turisti stranieri in Italia nel 2023. Trovo particolarmente interessante come prodotti un tempo poco noti ai visitatori internazionali siano ora comunemente presenti nei menù dei ristoranti italiani all’estero, rendendo i turisti stessi più inclini a riconoscerli, apprezzarli e cercare di comprendere la loro origine.
Questo processo presenta però anche delle criticità, tra cui un fenomeno di inflazione di preferenza verso certi prodotti a scapito di altri. Questo porta a una situazione in cui alcuni articoli vengono trascurati o scartati semplicemente perché meno noti o non considerati alla moda, generando un effetto boomerang rispetto alla valorizzazione della diversità produttiva.»
Nel report già citato si legge che «Sempre più rilevante è l’enogastronomia, divenuta a tutti gli effetti un pilastro dell’offerta turistica del Belpaese. Non a caso, rappresenta la prima motivazione di visita per i turisti locali e stranieri che trascorrono una vacanza in Italia». Come fare a suo parere per evitare che questo grande successo possa trasformarsi in un boomerang di massificazione e perdita di autenticità?
«Un successo eccessivo può trasformarsi in un’arma a doppio taglio, riflettendo la natura volubile dei trend di moda. Fortunatamente, l’Italia si distingue per le sue marcate diversità regionali, che, però, per i consumatori stranieri sono molto più sfumate. Pensiamo alla mortadella: mentre noi italiani pensiamo subito a Bologna, per uno straniero il pensiero va all’Italia in generale, e talvolta nemmeno all’Italia, data la confusione che regna all’estero. Ricordo che negli Stati Uniti solo il 27% della popolazione possiede un passaporto, il che significa che pochi americani viaggiano e, tra questi, solo una minoranza visita l’Italia. Questo ci illustra quanto possa essere ampio il divario tra immaginazione e realtà. Tuttavia, l’incremento del turismo enogastronomico sta contribuendo a colmare questo gap, accrescendo la consapevolezza dei turisti riguardo l’autentica esperienza enogastronomica italiana.
Dalle Anteprime della Library di sAu
L’agroambiente in Toscana. Politiche regionali e prospettive di sviluppo
Quale sviluppo sostenibile, frutto di un dialogo tra innovazione e tradizione, per l’agroambiente toscano? L’ebook, pubblicato dalla Direzione Agricoltura e Sviluppo Rurale della Regione Toscana, contiene gli atti dell’Evento Annuale 2018 del PSR della Toscana.
Se dovessimo identificare degli aspetti negativi in un fenomeno che per lo più ha effetti positivi sia sull’economia italiana sia sulla percezione del nostro paese all’estero, questi risiederebbero nelle tendenze passeggere dettate dalla moda. Prendo in considerazione due prodotti emblematici: l’olio extravergine d’oliva e il pistacchio. È realistico pensare che tutto l’olio etichettato come extravergine d’oliva italiano sia effettivamente prodotto in Italia? Ovviamente no, anche perché il suo costo dovrebbe essere significativamente più elevato. Il caso del pistacchio è ancor più significativo: se tutti i pistacchi venduti fossero veramente originari di Bronte, dovrebbe estendersi su una superficie quasi pari a quella dell’intera Europa, il che è chiaramente improbabile. Risulta curioso osservare come, negli Stati Uniti, sia frequente richiedere il pistacchio di Bronte senza avere la minima idea di dove si trovi Bronte, spesso ignorando persino il fatto che si tratti di un paese situato in Italia.
È particolarmente interessante che, al giorno d’oggi, siano gli stessi italiani a mostrare un crescente interesse per il turismo enogastronomico. La nostra ricerca evidenzia che siamo il 95% dei turisti italiani intervistati ha riportato di aver vissuto un’esperienza turistica legata all’enogastronomia. Per noi, questo aspetto rientra nella normalità, dato che è consuetudine scegliere una destinazione anche in base alla qualità dell’offerta culinaria e vinicola; tuttavia, questo approccio non è universalmente condiviso.
In effetti, il fascino del Made in Italy ha subìto un calo, in parte a causa dell’esagerazione di certi stereotipi che hanno finito per attenuare l’efficacia del nostro branding nazionale. L’Italia, che per anni ha occupato la seconda o terza posizione nell’indice del Made in Country, si trova attualmente al settimo posto. Diversi fattori contribuiscono a questa situazione: il Made in Germany è sempre più percepito come sinonimo di qualità e affidabilità, mentre il Made in Svizzera ha guadagnato la seconda posizione negli ultimi anni, in parte grazie al successo di prodotti come Nescafé Nespresso del gruppo Nestlé.
Tuttavia, un aspetto cruciale che ha influito sulla posizione dell’Italia è la questione dell’innovazione. Nel definire il valore di un’etichetta di origine, l’innovazione gioca un ruolo chiave, tanto che la Corea del Sud, nonostante non abbia un brand nazionale forte come l’Italia, si è posizionata decima nel 2023. Ciò dimostra che, benché l’enogastronomia sia un elemento importante, non rappresenta l’unico fattore determinante».
Ribaltiamo il punto di vista e passiamo dall’ottica del turista a quella del residente: oltre alle evidenti opportunità di crescita economica, il successo del turismo culturale e enogastronomico porta con sé rischi di gentrificazione e di perdita (o – peggio – di cristallizzazione) della cultura locale, che da elemento vitale e mutevole rischia di trasformarsi e banalizzarsi ad uso turistico?
«Il rischio di gentrificazione nel contesto turistico è decisamente reale e preoccupante. Questo fenomeno, in accelerazione per svariate ragioni, porta alla creazione di itinerari turistici sempre più frequentati e omogeneizzati. Un impatto particolarmente negativo si osserva nei centri storici italiani, dove il turismo di massa minaccia l’autenticità e l’unicità delle località. L’aspetto più critico riguarda la sfida di mantenere inalterata la qualità e l’autenticità del Made in Italy, evitando che questa diventi oggetto di derisione o banalizzazione a causa di un approccio turistico superficiale e massificato.
Abbiamo assistito per anni alla gentrificazione di Napoli, etichettata esclusivamente come la città della pizza, o di Firenze, ridotta solo alla bistecca alla fiorentina. Questi stereotipi riflettono le tendenze del nostro mercato e rischiano di appiattire la ricchezza culturale dell’Italia. Il nostro paese si caratterizza per una profonda diversità regionale che, paradossalmente, tende a fondersi in un’immagine unitaria all’estero. Proprio queste differenze regionali, però, rappresentano una potenziale forza e una possibilità di riscatto.
In Italia, la valorizzazione di alcuni prodotti tipici contribuisce a preservare la diversità dell’offerta gastronomica, contrastando il fenomeno della gentrificazione. Il problema maggiore si manifesta nel settore turistico, in particolare nell’uso eccessivo di determinati percorsi che guadagnano popolarità attraverso i social media, come TikTok, Instagram o Facebook. Questa tendenza può rivelarsi rischiosa sia per l’autenticità dell’offerta alimentare – basti pensare alla presenza ubiquitaria di menù turistici incentrati sulla Fiorentina Chianina a Firenze – sia per la produzione locale, poiché orienta l’attenzione verso un tipo di consumo che rischia di omologare l’esperienza gastronomica, trascurando le ricchezze culinarie delle aree meno battute dal turismo di massa, come la fascia appenninica.
La crescente tendenza verso il turismo “mordi e fuggi” e l’adozione di servizi come Airbnb stanno trasformando le città in conglomerati urbani sempre meno vivibili per i residenti, rendendoli simili a musei a cielo aperto, privi di vita nei periodi di bassa affluenza turistica.
Questo ciclo di fluttuazione della domanda turistica contribuisce all’aumento dei prezzi degli affitti in tutte le aree turistiche del nostro continente, poiché si tratta di un fenomeno diffuso a livello europeo. Di fronte a questa situazione, alcune città hanno iniziato a introdurre misure regolamentari: ad esempio, Amsterdam ha limitato la possibilità di affittare su Airbnb a soli tre mesi l’anno, escludendo inoltre il centro storico da nuovi inserimenti. Parigi ha imposto un limite di sei mesi, mentre l’Italia ha introdotto la cedolare secca sull’intero importo degli affitti, non solo sulle entrate percepite dal proprietario. Questo sembra poco, ma ha in realtà un effetto significativo, portando a una perdita mensile del 10-15%, un dato rilevante per il mercato degli affitti brevi.
In effetti, noi europei, specialmente coloro che risiedono nelle città più turistiche del continente, sembriamo destinati a vivere in un grande museo a cielo aperto. Questa situazione è anche il risultato di considerazioni legate alla produzione industriale: se intendiamo competere con economie emergenti come la Cina, i paesi BRICS, l’Indonesia e la Nigeria nel settore della produzione, ci troviamo nettamente in svantaggio.
In conclusione, io sono comunque ottimista perché credo che ciò che ci distingue e può ancora salvarci, come avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale e in altri momenti critici della storia recente, sia la nostra eredità culturale e la bellezza intrinseca delle nostre città.
Conclusioni
L’intervista a Valerio Mancini ha offerto una panoramica approfondita sullo stato attuale e sulle prospettive future del turismo enogastronomico in Italia, un settore che si conferma pilastro fondamentale dell’economia e della cultura italiane. La discussione ha messo in luce come l’innovazione digitale e la crescente consapevolezza circa l’origine e la qualità dei prodotti stiano modellando le tendenze del turismo, offrendo nuove opportunità di valorizzazione del Made in Italy a livello globale.
Tuttavia, sono emerse anche le sfide poste dalla gentrificazione e dalla commercializzazione eccessiva, che minacciano l’autenticità e la sostenibilità dell’offerta enogastronomica. Di fronte a queste criticità, l’intervista sottolinea l’importanza di adottare strategie che equilibrino innovazione e tradizione, promuovendo un turismo consapevole che rispetti la ricchezza delle diversità regionali italiane. Per questo, mentre il turismo enogastronomico italiano naviga tra le acque della globalizzazione e dell’innovazione, rimane essenziale preservare l’essenza culturale e la qualità che lo hanno reso rinomato in tutto il mondo. Sarà quindi cruciale per l’Italia continuare a investire in politiche di sostenibilità, di autenticità e di diversificazione dell’offerta, facendo sì che il successo del suo turismo enogastronomico non diventi un boomerang, ma continui a rappresentare un ponte tra passato e futuro, tra comunità locali e visitatori, tra tradizione e innovazione.
Autore
Marco Sbardella
Ph.D., Ricercatore e socio fondatore del Centro Ricerche scientia Atque usus per la Comunicazione Generativa ETS. Consulente presso Lab CfGC.
Svolge ricerca negli ambiti dello sviluppo rurale, del climate change e della comunicazione sanitaria.
Intervistato
Valerio Mancini
Direttore del Centro di Ricerca Divulgativo della Rome Business School. Professore per diversi Master della Rome Business School e presso il corso di laurea Magistrale in “Enterprise Communication Management” dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, l’SSML Unicollege (Firenze), l’SSML “Armando Curcio” (Roma), l’Università degli studi di Perugia e l’IDI – Italian Design Institute di Milano. Ha lavorato per diverse organizzazioni internazionali (Nazioni Unite, OCSE, MAOC-N).