di Francesca Banchini | 14 07 2023
Di cosa parliamo in questo articolo?
Nell’anno del centenario dalla nascita di don Lorenzo Milani molte sono le iniziative previste per celebrarlo e ricordarlo. In questo articolo si intende presentare la sua figura sotto tre punti di vista particolari che lo rendono ancora estremamente attuale per i giovani, che furono importanti interlocutori della sua esperienza di vita e di insegnamento e, in generale, per tutto il mondo della scuola.
Primo punto. Don Milani è stato un uomo che ha saputo scegliere. Nato in una delle famiglie più ricche di Firenze, aveva a disposizione possibilità e mezzi per intraprendere qualsiasi carriera, ma ha saputo capire e seguire la strada che avrebbe dato pienezza alla sua vita. Il secondo elemento che rende don Milani attuale è la sua coerenza, il fatto che ha improntato tutta la sua esistenza a perseguire ciò in cui credeva, vivendo fino in fondo la sua fede nel Vangelo. Infine la cura, prospettiva da cui non si può prescindere se si vuole comprendere la sua esperienza: cura dei suoi ragazzi, del loro presente e del loro futuro.
Ambito di Intervento
Cultura e Società
«La grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta, ma da tutt’altre cose». Così scriveva il giovane don Lorenzo, nei primi giorni dopo il suo arrivo a Barbiana, alla madre, cercando di tranquillizzarla ma allo stesso tempo, forse, cercando di rincuorare anche se stesso.
E grande, la vita di don Lorenzo, lo è stata davvero, tanto da suscitare interesse e fermento ancora oggi, a un secolo esatto dalla sua nascita. Tante sono le prospettive dalle quali è possibile raccontare don Milani, tanti i temi, tanti gli stimoli che rendono la sua esperienza attuale e significativa per gli interlocutori più giovani, e dai quali tutti i docenti che animano l’articolato mondo della scuola possono trarre ispirazione. Qui ne consideriamo tre: la scelta, la coerenza, la cura.
La famiglia in cui Lorenzo nacque, nel 1923, a Firenze, non era solo molto ricca, ma era soprattutto estremamente vitale dal punto di vista intellettuale e culturale. Possedevano una casa sui viali della città, una villa al mare a Castiglioncello, una tenuta a Montespertoli; delle quindici automobili che circolavano a Firenze in quegli anni, ben due appartenevano ai Milani; avevano mobili lussuosi, servitù e perfino, nel cortile di casa, una statua greca, l’Apollo Milani, che era stata scoperta da uno dei nonni di Lorenzo, Luigi Adriano Milani, il celebre archeologo fondatore del Museo etrusco di Firenze. Domenico Comparetti, bisnonno di Lorenzo, oltre a essere stato senatore, era stato anche un importante studioso di civiltà antiche e conosceva ben diciannove lingue.
È facile comprendere come per Lorenzo, per suo fratello Adriano e per sua sorella Elena nascere in un contesto simile costituisse un notevole trampolino di lancio verso qualsiasi scelta di vita avessero voluto compiere. Libri, conoscenze, amicizie, possibilità di studiare, nessun limite alla realizzazione del proprio progetto di vita.
Lorenzo però fin da giovanissimo sentiva una certa insofferenza verso i privilegi che lo circondavano e sembrava non saperne approfittare: il suo percorso scolastico era piuttosto scadente, il suo atteggiamento polemico e irriverente. Impulsivo e pronto a infiammarsi e a gettarsi a capofitto nelle passioni e nelle amicizie, dopo il liceo comunicò ai genitori che non avrebbe frequentato l’Università ma che si sarebbe iscritto all’Accademia delle Belle Arti, per diventare pittore. Lo sconcerto con cui questa decisione fu accolta in famiglia è palpabile ancora oggi, leggendo le lettere di quegli anni lontani. Fu Giorgio Pasquali, il celebre filologo e docente di letteratura greca e latina dell’Università di Firenze, caro amico di famiglia, a parlare con il giovane Lorenzo e a rassicurare tutti: si trattava certamente di uno sbandamento di gioventù, la cosa migliore era assecondarlo e aspettare che rientrasse in sé.
Da questo momento la storia è nota: il maestro privato Hans Staude (che poi diventerà suocero di un altro grande del Novecento, Tiziano Terzani), le lezioni all’Accademia, lo studio allestito nello scantinato di casa dove si ritrovavano i modelli e le modelle che Lorenzo ritraeva, l’euforia di dedicarsi a qualcosa che lo affascinava ma allo stesso tempo lo smarrimento di rendersi conto che no, la strada della pittura imboccata con tanta sicurezza non lo riempiva, non gli bastava. Fino al passaggio più sconvolgente per tutti quelli che conoscevano Lorenzo: l’incontro casuale con un vecchio messale dentro alla cappella che il giovane stava provando
ad affrescare, l’entusiasmo che ne scaturì, i colloqui con don Raffaele Bensi, l’indigestione di Vangelo, la conversione e la scelta di entrare in Seminario. La prima suggestione che merita di essere sottolineata nella vita di Lorenzo è proprio il fatto che lui ha saputo scegliere, andando non “contro” ma “oltre” la sua storia familiare, le aspettative dei genitori, il confronto con la brillante carriera del fratello, la formazione certo non religiosa che aveva ricevuto.
Lorenzo, da ragazzo e poi da giovane uomo, è stato capace di ascoltarsi in profondità, di capire cosa lo rendeva felice e di mettersi in movimento su quella strada. È lui stesso, nella bella lettera scritta alla madre il 14 marzo 1944, a raccontare il senso della sua scelta: «Cara mamma, mi dispiace che tu senta il peso della mia mancanza di libertà. Ma non ci pensare perché io non ne sento punto. Quando uno liberamente regala la sua libertà è più libero di uno che è costretto a tenersela. Chi regala la sua libertà si libera dal peso di portarla. […] Io per esempio mi son preso tutte le libertà possibili immaginabili e poi mi sono accorto che c’era una grande cosa (la più grande) che non potevo fare. Prima di morire mi voglio prendere anche questa libertà di dir Messa. Se ti dicono: oh, il suo povero figliolo non può neanche andare al cinematografo o prender moglie o prendere il sole e deve avere delle buffissime gambe bianche, gli devi dire: No, non è che non può, non vuole. Non è libero di non volere?». Per don Lorenzo scegliere di diventare cristiano e scegliere di farsi prete fu tutt’uno e, una volta diventato sacerdote, improntò fin da subito la sua missione a una profonda coerenza. Non gli interessava la religiosità fatta di vuota osservanza di rituali e di preghiere recitate a memoria, voleva che fede e vita si compenetrassero, illuminandosi reciprocamente.
Da qui fu breve il passo per far nascere la scuola popolare a Calenzano e poi la scuola a Barbiana: a don Lorenzo stava certo a cuore la diffusione e il radicamento del cristianesimo, ma aveva capito che non era possibile presentare in profondità Gesù a chi nemmeno riusciva a comprendere il Vangelo o il Catechismo. Prima era necessario istruire le persone, renderle capaci di parlare, di esprimere un’opinione, di comprendere e di scegliere cosa fare della loro vita. Alla scuola popolare di Calenzano poteva partecipare chiunque, indipendentemente dalla fede religiosa o dall’appartenenza politica: tutti avevano in comune il desiderio di migliorare la propria condizione, imparando a parlare, a scrivere, allargando i propri orizzonti e uscendo da soggezioni e timidezze. Era una scuola vera, quella di Calenzano. Fu una scuola vera, anni dopo, quella di Barbiana.
Don Lorenzo era così convinto che l’istruzione fosse l’unica arma possibile per far uscire i poveri dalla loro condizione di sudditanza, culturale prima che economica, che non bastò la decisione della Curia di spostarlo sul Monte Giovi per farlo desistere dei suoi metodi. La sua coerenza, ancora oggi, ha molto da insegnarci e ci obbliga a rifuggire qualsiasi forma di retorica quando ci avviciniamo al suo ricordo.
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Salendo su quella montagna, nuda, aspra, spoglia, ancora tanto simile a come era allora e a come si spera rimarrà per sempre, si comprende bene la forza della coerenza di don Lorenzo: lui non “faceva” il prete o il maestro, ma “era” un prete e “era” un maestro. Questa è una prospettiva che ha ancora tanto da dirci, in un oggi in cui le nostre scuole sono così diverse dalla scuola popolare di Calenzano e da quella di Barbiana, ma in cui in fondo le esigenze sono le stesse. Oggi come allora c’è bisogno di insegnanti e formatori che credono davvero in quel che fanno, che inseguono la coerenza fra fatti e parole, che si preoccupano che i ragazzi imparino davvero, che intendono la scuola come l’arma più potente per cambiare il mondo, partendo da se stessi.
L’ultimo punto di vista attraverso il quale leggere l’esperienza di don Milani non può che essere quello della cura. Su una parete dell’aula di Barbiana c’è il cartello «I care», mi importa, mi sta a cuore, di fronte al quale si svolgeva la vita quotidiana
di tutti coloro che frequentavano la scuola. Il prendersi cura è stata la lente attraverso la quale don Lorenzo ha insegnato ai suoi ragazzi a guardare il mondo. È ignobile proporre ai ragazzi di studiare solo per sé» scriveva. La prospettiva di tutta la sua vita e del suo insegnamento è sempre quella: si studia non tenendo lo sguardo sulla propria carriera, sulla propria affermazione personale, sui propri vantaggi, ma per capire qual è il contributo che possiamo dare agli altri e al mondo.
Tutte le giornate, a Barbiana, erano scuola, dalla mattina presto fino a sera, senza ricreazione, come ben si sa. Lettura dei giornali e discussione, gestione comune della corrispondenza di don Lorenzo, lavori manuali e poi le materie tradizionali, quelle su cui i ragazzi sarebbero stati giudicati dalle commissioni esaminatrici della scuola pubblica. Ai più grandi faceva lezione direttamente don Milani e poi erano loro a diventare maestri per i più piccoli, cercando insieme le risposte a quel che non sapevano.
Non c’erano strumenti particolari, a Barbiana. Non c’erano LIM, schermi touch, banchi modulari, arredi particolari né nessuno degli altri elementi che oggi sembrano fondamentali per poter fare buona scuola: spesso di un libro c’era una copia sola e i ragazzi la usavano insieme e a turno, all’inizio mancava persino la luce elettrica (arriva nel 1965) e molti ragazzi, per arrivare, dovevano camminare ore nei boschi. Tuttavia a Barbiana c’era un maestro vero, solo questo. Proprio grazie alla coerenza, alla sapienza, alla cura di don Lorenzo, lì è nata una scuola unica, creativa, concreta e, soprattutto, vera, capace di incidere sul serio su destini che sembravano già scritti: da lì sono usciti giovani cittadini che hanno avuto la possibilità di cambiare la propria vita, diventandone protagonisti.
È lo stesso don Milani a ricordarci quanto il prendersi cura degli altri sia stato centrale nella sua esperienza. Lo fa, ad esempio, nelle toccanti parole che sceglie di usare nel suo testamento: «Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi, non è vero che non ho debiti verso di voi. L’ho scritto per dar forza al discorso! Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto a suo conto».
Se oggi ha senso parlare di don Milani, dunque, non è certo per celebrarlo in vuote, retoriche e autoreferenziali cerimonie. È necessario farlo tornando a leggere i suoi scritti e cercando di mettere in pratica quel che lui aveva intuito come fondamentale: non tirarsi indietro di fronte ai problemi e alle difficoltà, dare il proprio contributo, scegliere e provare a fare la differenza, nelle scuole e in tutti gli ambiti in cui ci troviamo a operare.
Bibliografia
- Affinati, E. (2017). Il sogno di un’altra scuola. Don Lorenzo Milani raccontato ai ragazzi. Milano: Piemme;
- Balducci, E. (2002). L’insegnamento di don Lorenzo Milani. Roma: Laterza;
- Banchini, F., Mannelli S. (2022). Don Milani, Il maestro. Ancona: Raffaello;
- Cecconi, A., Zecchi S. (2021). Don Lorenzo Milani. Biografia per immagini. Firenze: SEF;
- Corradi, A. (2012). Non so se don Lorenzo. Milano: Feltrinelli;
- Fallaci, N. (1993). Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell’ultimo. Milano: BUR;
- Gesualdi, M. (2016). Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana. Milano: Edizioni San Paolo;
- Gesualdi, M. (2019). La parola fa eguali. Il segreto della scuola di Barbiana. Firenze: LEF;
- Gesualdi, M. (Ed.), (2007). Lettere di don Lorenzo Milani. Priore di Barbiana. Milano: Edizioni San Paolo.
- Gesualdi, M. (Ed.), (2004). Una lezione alla scuola di Barbiana. Firenze: LEF;
- Lancisi, M. (2022). Don Milani, vita di un profeta disubbidiente. Terra Santa Edizioni;
- Lancisi, M. (2002). Il segreto di don Milani. Casale Monferrato: Piemme;
- Milani Comparetti, A. (2019). Università e pecore. Vita di don Lorenzo Milani. Milano: Feltrinelli;
- Milani, L. (2017). Tutte le opere. Milano: Mondadori;
- Niccolini, F., Gesualdi, S. (2023). La scuola più bella che c’è. Milano: Mondadori;
- Scuola di Barbiana (1967). Lettera a una professoressa. Firenze: LEF.
Autore
Francesca Banchini
Francesca Banchini nasce a Firenze nel 1979. Diplomata al Liceo Classico Forteguerri di Pistoia e laureata in lettere antiche all’Università di Firenze, insegna lettere in una scuola secondaria di primo grado di Pistoia. Si dedica in particolare alla creazione di nuovi ambienti di apprendimento, all’organizzazione di incontri con autori e all’applicazione di metodologie innovative, soprattutto per quanto riguarda la didattica della lettura, della scrittura e dell’epica e letteratura. Tiene corsi di formazione per insegnanti e ha pubblicato alcuni libri, collaborando con diverse case editrici.
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