Salute e sanità

La prospettiva psicosomatica come pratica clinica incentrata sul coinvolgimento del paziente

di Fiammetta Cosci | 12 02 2024

Di cosa parliamo in questo articolo?

L’articolo illustra i limiti dell’approccio biomedico, che ancora oggi rappresenta la cultura dominante, se applicato alle strategie finalizzate a modificare gli stili di vita e i comportamenti delle persone affinché siano salutari. Viene prospettato il modello bio-psico-sociale come cornice alternativa entro la quale proporre nuove strategie e comportamenti. Tale approccio consente di mettere il paziente, o meglio la persona, al centro e di valorizzarne il potenziale di “produttore di salute”, in quanto capace di essere coinvolto in prima persona nella gestione della patologia e di diventare attore consapevole dei propri comportamenti di salute.

Ambito di Intervento

Salute e sanità

Il Centro Ricerche sAu è da anni impegnato nella realizzazione di progetti incentrati sul coinvolgimento dei pazienti con lo scopo di avviare processi generativi di conoscenza in cui aziende sanitarie, ospedaliere, associazioni, istituzioni cooperano per aumentare il livello di health literacy della cittadinanza in campo medico-scientifico.

Introduzione

Motivare efficacemente i pazienti a cambiare il proprio stile di vita modificando i propri comportamenti è riconosciuta un’attività molto impegnativa, sfidante, e spesso deludente, nel senso che ottenere risultati positivi è piuttosto difficile. In particolare, limitarsi semplicemente a incoraggiare i pazienti, alla fine di una visita ambulatoriale, a cambiare il proprio stile di vita o i propri comportamenti ha dimostrato di avere effetti molto limitati (Lianov & Johnson, 2010). Questo si verifica anche con quei pazienti che sono affetti da una malattia che beneficerebbe grandemente della modifica dello stile di vita. Un esempio può essere introdurre una dieta povera di grassi animali in pazienti con ipertensione, ipercolesterolemia o con una patologia cardiovascolare; oppure la cessazione del fumo nelle persone con malattie respiratorie. Poiché una variazione dello stile di vita che permetta di abbracciare comportamenti salutari sarebbe fondamentale per ridurre il rischio di presentare certe malattie, o avere complicanze di esse, e permetterebbe di ridurre i costi per la salute sia diretti (il cittadino che paga una visita specialistica o un farmaco) che indiretti (il costo per le casse dello Stato delle prestazioni erogate dal Sistema Sanitario Nazionale o quello del ticket dei farmaci), trovare una prospettiva che aiuti a raggiungere questo obiettivo risulta di vitale importanza.

Ovviamente, un’azione può avere successo se è sostenuta da una prospettiva forte. In altre parole, se le strategie per favorire i cambiamenti dello stile di vita e del comportamento delle persone vengono proposte da medici o clinici che aderiscono al modello biologico-riduzionista e pragmatico della medicina dello scorso secolo (cosa che sfortunatamente continua a essere attuale), probabilmente cadranno nel vuoto e la mancanza di tempo da dedicare alle visite, nonché la tendenza a prescrivere farmaci per qualsiasi problema di salute, non potrà che essere complice di questo fallimento.

Questo mi ricorda la storia di un paziente a cui fu diagnosticata l’ipercolesterolemia dal medico di medicina generale. Quando chiesi al paziente di raccontarmi quali cambiamenti nello stile di vita aveva attuato a seguito della diagnosi, mi rispose: “Nessuno, il medico di medicina generale mi ha dato una lista di alimenti contenenti alti livelli di colesterolo consigliandomi di non mangiarli, ma fortunatamente io già non li mangiavo perché non mi piacciono”. Parlando più estensivamente con il paziente, in realtà, mi resi conto che l’elenco fornito dal medico conteneva alimenti di base, come ad esempio il burro, che il paziente non era abituato a consumare tali e quali, ma che consumava come ingredienti di cibi cucinati. Quindi, quando chiesi al paziente se mangiasse ad esempio biscotti o torte (che contengono burro), lui rispose candidamente di esserne goloso e di mangiarne circa 3-4 porzioni al giorno. Era evidente che l’azione del medico di medicina generale era stata troppo debole per poter modificare lo stile di vita del paziente, anzi poteva addirittura legittimare il paziente a credere che l’unica soluzione per la sua ipercolesterolemia sarebbe stata prendere un farmaco (ad esempio una statina).

Se la medicina vuole proporre stili di vita salutari e strategie per implementarli non può continuare ad avere radici nel modello biomedico, pragmatico e riduzionista descritto sopra. La prospettiva psicosomatica rappresenta, invece, un modello che può  avere un impatto clinico significativo, se implementata al fine di modificare i comportamenti e gli stili di vita delle persone. Si tratta, però, di affondare le radici nel modello bio-psico-sociale delineato da George Engel (1977) già alla fine degli anni ’70, un approccio finalizzato a studiare e prendere in considerazione sia le variabili biologiche (ad esempio la familiarità per una determinata malattia), che psicologiche (ad esempio uno stato d’animo improntato alla tristezza), che sociali (ad esempio scarse relazioni interpersonali) che possono insistere sulla salute e sulla malattia della persona. I vantaggi dell’utilizzo della psicosomatica come prospettiva per consentire ai pazienti di diventare “produttori di salute” sono di seguito illustrati con specifico riferimento all’attivo coinvolgimento dei pazienti.

Progetto

Master in Comunicazione Medico-Scientifica e dei Servizi Sanitari

Il Master consulenziale realizzato dal Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze in collaborazione con il Centro Ricerche sAu nasce per realizzare progetti di ricerca-azione in grado di realizzare strategie di Comunicazione Generativa che migliorino la relazione medico-pazienti-servizi sanitari.

Vuoi saperne di più? Scopri di più sul progetto

Il paziente come produttore di salute

Hart (1995) ricordava che i pazienti sono una risorsa enorme, sottovalutata e sottoutilizzata sia da loro stessi che dai clinici. Sfortunatamente, la maggior parte dei pazienti tende a non considerarsi un produttore di salute. I pazienti, incoraggiati dai venditori a consumare, imparano a credere di poter ottenere la salute senza sforzo. Quando sono malati o temono di ammalarsi, comunemente preferiscono ingoiare compresse, piuttosto che cambiare attivamente qualcosa (ad esempio, rinegoziare il proprio matrimonio, mangiare il 30% di grassi in meno, smettere di fumare). Tuttavia, la passività dei pazienti è rinforzata dal fatto che spesso il loro potenziale di produttori di salute è sottovalutato anche dai clinici. Per esempio, prescrizioni fatte da medici che suggeriscono una pillola invece di dedicare tempo ai propri pazienti possono renderli ancora più passivi.

La questione del trattamento eccessivo è ampiamente considerata un problema in diverse discipline mediche, quali ad esempio la geriatria, la psichiatria, l’oncologia e le cure palliative. È stato suggerito che il giuramento di Ippocrate “trattare i malati al meglio delle proprie capacità” è adesso più attuale che mai e richiede il miglioramento di interi sistemi sanitari la cui efficienza nell’erogazione delle cure e nel fornire i migliori risultati è compromessa da trattamenti eccessivi, da diagnosi eccessive, dalla scarsa attenzione ed empatia verso i pazienti, dalla medicalizzazione del normale (Lubowitz, Brand, & Rossi, 2022). 

Gli altri contributi dell’Ambito

Coinvolgere le comunità per costruire una società in salute

I punti salienti dell’intervento della Prof.ssa Renata Schiavo

L’Articolo ripropone i punti salienti del seminario “Community Engagement: The People’s Approach to Improving Health and Social Outcomes” tenuto dalla Prof.ssa Renata Schiavo il 29 settembre 2023. L’evento è stato organizzato dal Centro Ricerche sAu, in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica dell’Università di Firenze, nell’ambito del Master in Comunicazione Medico-Scientifica e dei Servizi Sanitari.

In realtà, i medici esperti sanno molto bene che, se usate da sole, la maggior parte delle strategie atte a produrre passività sono illusorie. Per esempio, i farmaci antidepressivi possono causare più sofferenza di quanta ne allevino, i farmaci antidiabetici orali non sono un’alternativa a una dieta attenta, e i fumatori che trattano la tosse con antibiotici si ammalano più spesso di bronchite. In generale, i pazienti in quanto consumatori passivi hanno aspettative non realistiche e le loro delusioni spesso portano a decisioni cliniche inappropriate, in particolare quando queste sono un prodotto commercializzato con profitto. Ogni malato che, avendo portato una richiesta al medico, non riceve una prescrizione o un invio a un altro specialista, ma una spiegazione e quindi la possibilità di comprendere, passa già dal consumo passivo alla produzione attiva della salute (Hart, 1995).

Questo vuol dire che gli unici limiti a ciò che i pazienti possono imparare, o alle responsabilità che possono assumersi nella generazione e gestione della propria salute, sono la formazione iniziale che viene fornita loro dai clinici e l’incoraggiamento che i medici possono dare loro affinché abbandonino il consumo passivo e scoprano di poter gestire alcuni, o a volte molti, aspetti della propria salute (Hart, 1995). Data una ragionevole formazione iniziale e il supporto da parte dei professionisti, i pazienti con malattie croniche diventano, per esempio, gestori esperti dei loro problemi di salute (Hart, 1995). 

La prospettiva psicosomatica incoraggia una rivalutazione degli antichi principi della medicina, concepita in ultima analisi come basata sulla relazione e la cui pratica richiede un ascolto attento e del tempo da trascorrere con i pazienti. Fondamentale è riconoscere che il paziente è sia un iniziatore che un collaboratore nel processo clinico, non semplicemente un oggetto di studio (Engel, 1997). Le aree problematiche possono essere suscettibili di miglioramento attraverso l’erogazione di informazioni mediche e spiegazioni adeguate. Ciò è particolarmente importante per gli individui con un’alfabetizzazione sanitaria limitata, che altrimenti sarebbero inclini a una peggiore autogestione, a un minore utilizzo dei servizi di prevenzione e a tassi di ospedalizzazione più elevati (Wolf, Gazmararian, & Baker, 2005).

Vi è anche una crescente consapevolezza dell’importanza del processo decisionale condiviso, in cui medico e paziente attraversano tutte le fasi del processo clinico, condividono le preferenze terapeutiche e raggiungono un accordo sulle scelte terapeutiche. Decisioni condivise e senza fretta sono necessarie per dare forza e credibilità ai suggerimenti per le modifiche dello stile di vita e dei comportamenti delle persone. Non sorprende che, quando i pazienti con prediabete sono stati coinvolti in un processo decisionale condiviso per la prevenzione del diabete che utilizzava il supporto decisionale contenente informazioni su due opzioni basate sull’evidenza, il 55% ha scelto un cambiamento intensivo dello stile di vita, l’8,5% ha scelto il farmaco ipoglicemizzante orale (metformina), il 15% ha scelto entrambe le opzioni (Moin et al., 2021). 

Se i pazienti sono coinvolti attivamente nel loro percorso di cura secondo la prospettiva psicosomatica, si interessano alle informazioni che ricevono sul proprio stato di salute, imparano cose nuove e sanno gestirsi nel quotidiano. Dalla propria esperienza possono apprendere che certi sintomi fluttuano, quindi può non essere utile o corretto prendere decisioni sulla base di una singola valutazione effettuata qui ed ora, e che i sintomi possono essere correlati a diverse variabili individuali, inclusi fattori psicosociali (ad esempio, relazioni interpersonali o preoccupazioni). Engel (1977) ha proposto un modello multifattoriale di malattia, successivamente sussunto sotto la denominazione bio-psico-sociale (Engel, 1992), che ha consentito una visione completa dei pazienti come risultato di sistemi integrati a livello cellulare, tissutale, dell’organismo, ma anche interpersonale e ambientale, che necessitano di essere valutati ed eventualmente modificati: la biologia non è un destino (Horwitz & Cullen, 2023).

Conclusioni: un cambio di paradigma comunicativo

I clinici che dedicano tempo di qualità ai propri pazienti, li incoraggiano alla narrazione, li ascoltano con interesse, valutano attentamente le loro problematiche, stanno già “contestualizzando” i pazienti, creando le condizioni per spiegare comportamenti che altrimenti non sarebbero comprensibili, contribuendo a modellare uno stile di vita. Parallelamente questi stessi clinici stanno probabilmente evitando procedure diagnostiche o trattamenti farmacologici non necessari, con un beneficio complessivo in termini di risultati finali (Adler & Stead, 2015). I pazienti possono anche essere coinvolti attivamente attraverso interventi strutturati. Alcuni suggerimenti relativi allo stile di vita e ai comportamenti salutari possono essere proposti anche nell’ambito dell’educazione del paziente (fatta da medici, infermieri, psicologi, ecc.) o anche nell’ambito di interventi psicologici di supporto o strutturati (come la psicoterapia). L’attenzione allo stile di vita e all’autoterapia richiede, tuttavia, un modello di clinica che sia aperto a un approccio innovativo che concepisca la salute mentale in ambito medico sotto la prospettiva psicosomatica.

Bibliografia/Sitografia

  • Adler, N. E., & Stead, W. W. (2015). Patients in context − EHR capture of social and behavioral determinants of health. New England Journal of Medicine, 372, 698–701. 
  • Engel, G. L. (1977). The need for a new medical model: a challenge for biomedicine. Science, 196 (4286), 129–136.
  • Engel. G. L. (1992). How much longer must medicine’s science be bound by a seventeenth century world view?. Psychotherapy and Psychosomatics, 57 (1-2), 3-16.
  • Engel, G. L. (1997). From biomedical to biopsychosocial. 1. Being scientific in the human domain. Psychotherapy and Psychosomatics, 66 (2), 57-62.
  • Hart, J. T. (1995). Clinical and economic consequences of patients as producers. Journal of Public and Health Medicine, 7 (4), 383–386.
  • Horwitz, R. I., & Cullen, M. R. (2023). Biology is not destiny. Psychotherapy and Psychosomatics, 92 (4), 205-207.
  • Lianov, L., & Johnson, M. (2010). Physician competencies for prescribing lifestyle medicine. JAMA, 304 (2), 202-203. 
  • Lubowitz, J. H., Brand, J. C., & Rossi, M. J. (2022). Stop overtreatment, overdiagnosis, and the medicalization of “normal” to improve health care outcomes. Hippocrasy: The Book. Arthroscopy, 38 (8), 2361-2364.
  • Moin, T., Martin, J. M., Mangione, C. M., Grotts, J., Turk, N., Norris, K. C., et al. (2021). Choice of intensive lifestyle change and/or metformin after shared decision making for diabetes prevention: results from the PRediabetes Informed Decisions and Education (PRIDE) study. Medicine and Decision Making, 41 (5), 607-613.
  • Wolf, M. S., Gazmararian, J. A., & Baker, D. W. (2005). Health literacy and functional health status among older adults. Archives of Internal Medicine, 165 (17), 1946–1952.
Autrice

Fiammetta Cosci

Medico Specialista in psichiatra, è Professore Associato di Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi di Firenze, Professore Associato presso il Dipartimento di Psichiatria e Neuropsicologia presso l’Università di Maastricht (Paesi Bassi), Editor in Chief della rivista internazionale «Psychotherapy and Psychosomatics»