Recensione

Conosciamo il prezzo di tutto, ma il valore di niente

di Marco Sbardella | 20 09 2024

«Nowadays people know the price of everything and the value of nothing» (Oggigiorno la gente conosce il prezzo di tutto e non conosce il valore di niente). Questo celebre aforisma, tratto da Il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, ha accompagnato la lettura del volume di Fabio Ciconte, consultato nel contesto della ricerca in corso sulla divaricazione di significato tra il concetto di ‘valore’ e quello di ‘prezzo’, che nelle nostre società a trazione neoliberista hanno preso direzioni diverse e spesso divergenti.
Il volume L’ipocrisia dell’abbondanza. Perché non compreremo più cibo a basso costo propone un’analisi delle dinamiche globali che intersecano la produzione alimentare, le crisi ambientali e socioeconomiche e le politiche di consumo, svelando le contraddizioni del nostro tempo, dove l’abbondanza apparente si scontra con una realtà di ingiustizia, insostenibilità e – rifacendosi ad un concetto coniato da Edgar Morin – policrisi:
«A questa concomitanza di crisi […] giornalisti e istituzioni internazionali hanno dato un nome, l’hanno chiamata la «tempesta perfetta»: un momento eccezionale in cui cambiamento climatico, pandemia, crisi energetica e, infine, rischio di guerra mondiale si intrecciano in un’unica matassa esplosiva. […] Ognuno di questi elementi, di questi fattori, produce effetti sulla vita delle persone, sull’economia, sugli assetti internazionali, sul costo delle materie prima. E, non ultimo, produce degli effetti sul cibo, sulla sua disponibilità e sul prezzo». (p.5)

Il Libro

L’ipocrisia dell’abbondanza

Perché non compreremo più cibo a basso costo

ipocrisia abbondanza

Autore: Fabio Ciconte

Anno: 2023

Editore: Laterza

Luogo di pubblicazione: Roma-Bari

L’autore critica l’attuale modello di produzione e consumo, evidenziando come il costo sottostimato del cibo nasconda i veri impatti sociali e ambientali della produzione alimentare. Viene proposta una soluzione che passa attraverso l’aumento dei salari e del potere d’acquisto, affinché i consumatori possano affrontare il costo reale del cibo, un costo che includa anche le sue esternalità negative (inquinamento, perdita di biodiversità, erosione del suolo, produzione di gas climalteranti, ecc.). Solo così, sostiene l’autore, il cibo potrà essere riconosciuto come parte integrante di una transizione ecologica necessaria.
Ma perché questo accada è necessario che i cittadini conoscano le dinamiche in atto, al di là delle narrazioni mediatiche che troppo spesso tendono a presentare una realtà edulcorata, quando non proprio menzognera. Pensiamo al famoso accordo sul grano che ha sbloccato tonnellate di cereali rimasti ammassati nei porti ucraini a causa del conflitto in corso, le cui finalità non erano quelle che ci sono state presentate dai mezzi di informazione (ossia garantire la sicurezza alimentare a popolazioni africane messe a dura prova dall’interruzione degli approvvigionamenti):
Ambito di Intervento

Agricoltura e sviluppo del territorio

La recensione contribuisce alla ricerca del Centro Ricerche sAu sul concetto di valore: l’idea è che questo concetto debba essere ridefinito, allontanandosi da una definizione basata su parametri esclusivamente economico-finanziari.

«È questa la chiave dell’accordo e i numeri lo testimoniano: i cereali non vanno alle persone «nei paesi affamati». La loro destinazione principale sono paesi industrializzati che vogliono continuare ad alimentare un settore zootecnico ipertrofico e in crisi economica. Buona parte dei cereali prodotti e importati in Europa sono destinati ad alimentare gli animali negli allevamenti europei, per la maggior parte intensivi». (p. 34)
Foraggiare la zootecnia europea, quindi, è prioritario rispetto a garantire la sicurezza alimentare per gli esseri umani. Ancora una volta il valore (economico) prende una strada incompatibile con i valori (umani). Ma anche limitandosi ad un approccio meramente economicistico, quale sarebbe il prezzo giusto da pagare per le pietanze che tutti i giorni finiscono sulle nostre tavole? «Vi siete mai chiesti cosa succederebbe se pagassimo il cibo per quanto davvero vale? Cioè, se all’interno del valore di questo o quel prodotto venissero contabilizzati tutti, ma proprio tutti i costi, tutte le esternalità negative? […] il prezzo giusto del cibo dovrebbe essere almeno il doppio (alcuni sostengono addirittura il triplo). La domanda è, chi può permetterselo?» (pp. 123- 125)

La risposta dovrebbe essere: tutti, ma proprio tutti. Ma per essere nelle condizioni di farlo è necessario rendere il cibo, o meglio ancora il diritto all’accesso al cibo, oggetto di contesa politica e culturale, a partire dal tema con cui abbiamo aperto queste brevi note, ossia la ricomposizione della frattura che oggi sembra descrivere la relazione tra valore e prezzo:

«Una crisi che potremo affrontare se sapremo offrire una prospettiva diversa, un nuovo punto di osservazione: non più quello del consumatore solitario (più o meno consapevole) che deve inventare strategie quotidiane di sopravvivenza, ma quello di un cittadino, una cittadina, che fa parte di una collettività, che prende parola per i propri diritti, per rivendicare l’urgenza di accedere a un cibo di qualità, sostenibile, equo, e che chiede di essere messo nella condizione di farlo». (p. 11)

La recensione è a cura di

Marco Sbardella

Ph.D., Ricercatore e socio fondatore del Centro Ricerche “scientia Atque usus” per la Comunicazione Generativa ETS.

Insegna Teorie e Tecniche della Comunicazione all’Università di Firenze.

Gli altri contributi dell’Ambito di Intervento “Agricoltura e sviluppo del territorio”

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