La povertà educativa è un flagello che colpisce ancora il nostro paese o possiamo relegarla ad un passato più o meno recente? E, se ancora ci riguarda, come fare per lasciarcela alle spalle?
Il volume scritto da due docenti dell’Università La Sapienza di Roma – Orazio Giancola e Luca Salmieri – prova a dare risposte articolate e argomentate a queste domande, basandosi su ricerche empiriche svolte non soltanto sulle studentesse e gli studenti ma sull’intera popolazione italiana. Il sottotitolo del volume, non casualmente, è: Dati, analisi, politiche.
La risposta purtroppo è fin troppo chiara e, a differenza dei libri gialli, qui la apprendiamo già dall’introduzione: «La povertà educativa è un problema poco considerato in Italia. Eppure, […] il nostro paese è tra quelli più poveri in Europa; il più povero in assoluto, se si considerano le capacità della popolazione adulta di compiere alcune operazioni relativamente semplici di lettura, calcolo e problem solving. Non si tratta di semplice ignoranza, ma di qualcosa di più grave. L’ignoranza è facilmente superabile […]. Il problema è quando mancano o sono estremamente deboli o indeboliti gli strumenti e le capacità necessarie per uscire dall’ignoranza» (p. 9).
Il libro
La povertà educativa in Italia
Dati, analisi, politiche
Autori: Orazio Giancola, Luca Salmieri
Anno: 2023
Editore: Carocci
Luogo di pubblicazione: Milano
La colpa è tutta della scuola? No, secondo gli autori, perché la povertà educativa dipende soprattutto da fattori extrascolastici: dalla riproduzione delle disuguaglianze di origine sociale, dal capitale culturale delle famiglie e dall’obsolescenza delle competenze durante la vita adulta. Con buona pace di quegli autori paladini del merito e “demolitori” della scuola lassista, buonista e progressista:
«La riproduzione delle disuguaglianze sociali per via scolastica è il grosso limite proprio di quella scuola della quale i demolitori invocano il ritorno e non l’effetto di una didattica che oggi sarebbe, sempre secondo i demolitori, votata a favorire il successo di tutti abbassando la qualità. La scuola insomma, spesso, non riesce, suo malgrado, a ridurre le differenze e, in alcuni casi […] finisce per amplificarle, ma non le produce e non ne è all’origine. L’origine sta nello svantaggio determinato dall’ingiustizia sociale» (p. 83).
Come si misurano le competenze di base (le famose leggere, scrivere e far di conto, a cui oggi va necessariamente aggiunto il problem solving) dei ragazzi e degli adulti? Gli autori fanno riferimento principalmente ai risultati delle indagini internazionali dell’OSCE: i test PISA (Programme for International Student Assessment) per gli studenti e PIAAC (Programme for International Assessment of Adult Competencies) per gli adulti.
E i risultati, come anticipato, fanno riflettere.
Tralasciando in questa sede per necessità di sintesi i risultati dei test somministrati ai ragazzi, che tanta eco trovano tutti gli anni sui mezzi di informazione, è interessante vedere la situazione in cui versano gli adulti nel nostro paese:
«Tra i paesi europei che hanno preso parte all’indagine PIAAC del 2013, l’Italia occupa l’ultima posizione per la quota di coloro che superano il secondo livello di competenza di lettura e comprensione sui cinque previsti: quasi il 70% degli adulti italiani […] rispetto a una media del 44% relativa agli altri paesi europei. […] Se consideriamo le competenze di base in matematica la nostra situazione non migliora, anzi. […] Quasi tre italiani su quattro (70,5%) non superano il secondo livello di competenze matematiche sui cinque previsti» (p. 43).
Citando – credo volontariamente – il titolo di una famosa opera di Lenin, gli autori intitolano il capitolo conclusivo Che fare?
Che fare, dunque, per ridurre il gap con gli altri paesi europei e quello ancora più grave tra il nord e il sud del nostro paese? La soluzione proposta nel volume consiste nel sostenere (economicamente, culturalmente e socialmente) le famiglie in difficoltà, perché «la povertà dei bambini dipende dalla povertà degli adulti: accanto alle politiche di compensazione economica, dovrebbero essere promossi investimenti pubblici per l’educazione permanente degli adulti, per il mantenimento e lo sviluppo delle loro competenze di base. Queste politiche non monetarie potrebbero essere incluse nelle politiche attive e passive volte a combattere la povertà materiale, generando un circolo virtuoso in cui il sostegno economico va di pari passo con l’investimento familiare in istruzione e cultura» (p. 196).
Cultura e società
Il Centro Ricerche sAu porta avanti progetti di ricerca basati su un’idea di conoscenza non egemonica ma come costruzione di un bene comune. Frutto, cioè, di collaborazione e cooperazione fra ambiti socio-culturali ed economici fino ad oggi tenuti rigorosamente distinti, quanto strategicamente gerarchizzati.
Ph.D., Ricercatore e socio fondatore del Centro Ricerche scientia Atque usus per la Comunicazione Generativa ETS.
Consulente presso Lab CfGC.