Olio sotto attacco – intervista a Balenzano

Agricoltura e sviluppo del territorio

L’olio è sotto attacco. Serve un’alleanza mediterranea per rilanciarne il valore a livello globale

Intervista a Antonio Balenzano

di Marco Sbardella | 12 10 2023

Di cosa parliamo in questo articolo?

In un momento di grande crisi per l’olio, non soltanto italiano, abbiamo intervistato Antonio Balenzano, esperto del settore e Direttore dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio. 

Con Balenzano abbiamo parlato di come l’olio può passare dall’essere considerato una commodity, e quindi valutato esclusivamente in base alle dinamiche della domanda e dell’offerta, ad essere un prodotto in grado di rappresentare, a livello globale, un’intera civiltà – quella del Mediterraneo – con i relativi modelli alimentari e culturali. 

Ma l’olio, come spiega Balenzano, sta subendo un pesante attacco da parte di gruppi economici che hanno interesse a boicottarlo a favore di altri tipi di grassi. Come difendersi? Fare squadra, tra i tanti portatori d’interesse a livello nazionale, e tra i paesi produttori affacciati sul bacino del Mediterraneo può essere la strategia vincente.

Ambito di Intervento

Agricoltura e sviluppo del territorio

Questo articolo contribuisce alla ricerca del Centro Ricerche sAu sul concetto di valore e sulla sua applicazione pratica in tutti i settori socio-economici, culturali e politici. L’idea è che questo concetto debba essere radicalmente ridefinito, allontanandosi da una definizione basata su parametri esclusivamente economico-finanziari.

INTRODUZIONE

Con Antonio Balenzano, Direttore dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio, è attiva una collaborazione di lungo corso, che attualmente ci vede impegnati nella realizzazione del progetto Nuovo EVO. Il valore dell’olivicoltura per lo sviluppo sostenibile dei territori. Oltre alle competenze gestionali, nel corso del tempo, abbiamo imparato ad apprezzare in Antonio la capacità di analisi dei trend e delle evoluzioni del settore, alimentata dal confronto quotidiano che ha con amministratori e portatori d’interesse locali, nazionali e internazionali. Proprio per questo, in un momento di grande incertezza (non solo in Italia) per il futuro del settore olivicolo-oleario, in cui i prezzi sono in aumento e le scorte in rapido esaurimento, abbiamo realizzato questa intervista per cercare di approfondire insieme quello che sta succedendo e, soprattutto, per tentare di capire come invertire la rotta. Non esiste, e questo lo sappiamo bene, una bacchetta magica in grado di risolvere tutti i problemi. Quello di cui c’è urgente bisogno, e le risposte di Balenzano lo dimostrano con grande chiarezza, è un lavoro paziente e continuo di costruzione di comunità tra saperi e conoscenze provenienti da ambiti diversi, tra portatori d’interesse a livello nazionale, tra paesi produttori. Un lavoro il cui scopo non può che essere la ridefinizione del valore dell’olio attraverso l’aumento della consapevolezza dei valori di cui questo prodotto è al tempo stesso portatore e generatore.

Il valore dell’olio non può essere ridotto al suo prezzo. Quali sono allora gli elementi che possono concorrere a creare questo valore e come fare a metterli a sistema per creare una nuova relazione tra valori (sociali, ambientali, salutistici, paesaggistici, ecc.) e valore (economico)?

 

“La questione del prezzo è strategica, perché corrisponde alla percezione del valore del prodotto, che purtroppo è ancora molto limitata. Questo perché l’olio è sempre stato considerato – e lo è tutt’ora – una commodity, ossia un prodotto che segue le fluttuazioni del mercato, esattamente come accade per il petrolio. È in base a questa logica che assisteremo all’aumento dei prezzi nella prossima campagna, dovuto proprio alla scarsità del prodotto. Ma in questo modo, continuando a considerare l’olio come una merce qualsiasi, il prezzo non potrà mai essere corrispondente al reale valore del prodotto.

Il passaggio che dobbiamo fare, che per certi versi è rivoluzionario, è quello di valorizzare la biodiversità unica di questo prodotto, le sue tantissime sfaccettature che non possono ridurlo allo stato di commodity. Ma questo va comunicato.

Progetto

Nuovo EVO. Il valore dell’olivicoltura per lo sviluppo sostenibile dei territori

Il progetto cui l’articolo si riferisce mira a ridefinire il valore dell’olio, aggregando portatori d’interesse provenienti da ambiti diversificati (produttori, ristoratori, amministratori pubblici, ricercatori, ecc.) intorno a progetti di sviluppo territoriale sostenibile basati sul rilancio del settore olivicolo.

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La gamma di valori di cui l’olio è portatore è estremamente ampia e riguarda aspetti sociali, ambientali, salutistici, paesaggistici: è da qui che dobbiamo ripartire per definire il reale valore dell’olio.

Per quanto riguarda gli aspetti sociali non possiamo non considerare il fatto che questo prodotto rappresenta un’identità storica fortissima nei nostri territori e nelle loro economie, fino ad arrivare alle nostre identità culturali. Come tale ha un valore sociale perché rappresenta, da questo punto di vista, un’intera comunità.

Passando agli aspetti ambientali ricordiamo la sua funzione di salvaguardia di alcuni territori che sono difesi dal dissesto idrogeologico proprio dagli alberi di olivo, che a suo tempo furono piantati anche per questa ragione, oltre che per motivazioni economiche.

L’aspetto salutistico è un ulteriore elemento che in prospettiva credo possa essere l’asset principale su cui puntare in termini di percezione del valore da parte dei cittadini, perché l’olio è un prodotto che fa bene, è nutraceutico. I modelli di alimentazione che si stanno affermando a livello globale tendono a dare molta rilevanza all’aspetto salutistico, e quindi anche questo diventa un elemento che deve essere comunicato.

A proposito degli aspetti paesaggistici, ci si collega al tema del turismo e della percezione del territorio: un paesaggio bello e curato significa anche benessere psicofisico, perché la bellezza ha un impatto psicologico molto importante.

Sono tutti elementi, questi, di cui il cittadino deve essere consapevole. Deve conoscere il vantaggio che può apportare un acquisto consapevole, pagato il giusto prezzo, quello cioè di permettere a questa cultura di non scomparire.

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L’impegno del Centro Ricerche sAu per l’Agricoltura e lo sviluppo del territorio

Vuoi approfondire i temi relativi a Agricoltura e sviluppo del territorio che sono trattati nell’articolo consultando la documentazione che abbiamo prodotto o utilizzato per le nostre attività di ricerca?

La percezione del valore economico dell’olio, allora, va al di là del solo aspetto produttivo, e il beneficio che può derivare dall’acquisto di questo prodotto incide su una gamma di benefici sia individuali sia collettivi, che però – lo ripeto – devono essere comunicati efficacemente. Al momento, purtroppo, la maggior parte dei consumatori ha ancora la percezione dell’olio come di un prodotto da acquistare in maniera anonima, senza particolari differenziazioni e soprattutto senza la consapevolezza dei benefici citati in precedenza.

La domanda importante è: come facciamo a farlo? Dobbiamo attivare, anche grazie ai tanti mezzi di comunicazione che ci sono, un passaparola che solleciti la curiosità e il desiderio di conoscenza nei confronti di questo prodotto. 

Allora la seconda domanda è: perché tutto questo non avviene? Perché ci sono interessi economici importanti. Da una parte abbiamo la frammentazione della produzione, che è molto parcellizzata e per quasi il 60% riguarda piccoli o piccolissimi produttori. Il resto è in mano a grossi gruppi, spesso anche multinazionali, che hanno interesse a indirizzare il mercato verso un prodotto che abbia una sua uniformità di rappresentazione anche organolettica per mantenere una dinamica di prezzo tipica delle commodities. C’è poi la tendenza ad andare verso altri tipi di grassi, molto più economici e ad alto valore aggiunto in termini di beneficio economico per i grandi gruppi. 

Ultimamente sta emergendo un’idea dell’olio extravergine d’oliva come prodotto per ricchi, anche perché sappiamo che i prezzi subiranno un aumento: si tratta di una tendenza a demonizzare questo prodotto a favore di altri tipi di grassi. Oltre alla questione del differente margine di guadagno, c’è in questo processo una motivazione più profonda: l’olivo non si presta come altre colture ai processi di meccanizzazione e intensivizzazione dell’agricoltura. La presenza dell’essere umano nella coltivazione degli olivi, intesa come atto agricolo, rimane e rimarrà molto più importante rispetto ad altri tipi di colture, come può essere il mais. Anche dal punto di vista orografico il 70% dei territori olivetati non permette l’intensivizzazione, e quindi il lavoro umano è insostituibile, con il conseguente impatto sui costi. 

In altri termini, stiamo parlando della visione che abbiamo, in senso ampio, dell’agricoltura e della gestione del territorio. L’olivo rappresenta anche tutto questo: la visione che abbiamo dello sviluppo e della manutenzione del territorio, perché mantenere un oliveta vuol dire anche non desertificare alcune aree e non sacrificarle necessariamente alla necessità, per motivi economici, di essere convertite in aree adibite all’installazione di pale eoliche o pannelli solari. Al contrario, la potenzialità – anche economica – della coltivazione dell’olivo è enorme.

Se ci abituiamo a pagare il giusto prezzo per l’olio potremo rafforzare le economie delle aree interne, che molto spesso soffrono di abbandono non solo olivicolo, ma anche della popolazione. L’olivo non può essere l’unica soluzione, ma può contribuire ad essa, perché rappresenta una visione totalmente diversa di sviluppo del territorio.”

È finito l’olio. I dati recenti ci dicono che sta finendo l’olio italiano e che il suo prezzo è destinato a salire. Come evitare di rafforzare la spaccatura tra un consumo di élite (culturale, economica) e un consumo di massa di prodotti stranieri e di bassa qualità?

 

“Come dicevamo prima la tendenza verso cui ci stanno conducendo è questa. È vero che c’è una carenza di prodotto dovuta ai cambiamenti climatici, al fatto che la Spagna – il più grande produttore mondiale, la cui produzione è quintupla rispetto a quella dell’Italia – ha già consumato le riserve dell’anno scorso e quindi ora si trova in deficit sia produttivo sia di disponibilità, tanto che in molte aree della Puglia gli stessi produttori spagnoli stanno acquistando olive per aumentare la propria produzione. Questo provocherà un aumento dei prezzi, con le conseguenze che ciò comporta a livello internazionale. La Turchia, ad esempio, sta chiudendo le proprie esportazioni in attesa che questo aumento dei prezzi si realizzi pienamente, così da poter aumentare i guadagni delle sue esportazioni.

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L’agroambiente in Toscana. Politiche regionali e prospettive di sviluppo

Quale sviluppo sostenibile, frutto di un dialogo tra innovazione e tradizione, per l’agroambiente toscano? L’ebook, pubblicato dalla Direzione Agricoltura e Sviluppo Rurale della Regione Toscana, contiene gli atti dell’Evento Annuale 2018 del PSR della Toscana, introdotti dall’Assessora Stefania Saccardi, e tre saggi inediti di Luca Toschi, Eugenio Pandolfini e Marco Sbardella.

Questa, però, è una contingenza in cui ci troviamo ora, nella quale il prezzo aumenterà, ma le persone non ne capiranno il motivo. È questo il vero problema, perché se ci fermiamo a questa logica non usciamo dalle dinamiche della commodity, che non permettono a tutti coloro che vorrebbero investire in qualità, in recupero di aree a rischio abbandono, di avere una prospettiva in chiave economico-imprenditoriale. Bisogna cambiare radicalmente questa visione, per cui il problema non è tanto la quantità di olio prodotto ma la percezione del valore – e di conseguenza del costo – di questo prodotto.

Sappiamo che non è un problema di élite, perché le persone sono disposte a pagare prodotti più costosi se hanno la consapevolezza del loro valore e del ritorno che possono averne. Ma ritorniamo al punto: ad oggi l’olio extravergine d’oliva non viene percepito per quello che è realmente. Le persone non sono consapevoli del beneficio per la propria salute apportato dal consumo di olio, non sono in grado di valutare le differenze tra i diversi extravergine in commercio, e finiscono per basare i propri acquisti esclusivamente sul fattore prezzo. Se, al contrario, si ha consapevolezza del sistema valoriale, sia dal punto di vista della soddisfazione personale (salutistico, gastronomico ed edonistico), sia dal punto di vista sociale, ecco che allora il prezzo non è più l’unico parametro che guida la scelta di acquisto.

Altro discorso è la tendenza in corso a demonizzare l’olio d’oliva, perché è un prodotto che, come abbiamo detto in precedenza, alle multinazionali degli oli grassi non dà quella marginalità che altri tipi di grassi danno grazie allo sfruttamento intensivo e all’estrazione chimica. Le alternative le troveranno e i media le aiuteranno a veicolarle. 

Noi dovremo fare una battaglia simile a quella che è stata fatta sull’olio di palma, guidata da un movimento quasi spontaneo e nato dal basso che è riuscito a condizionare interi settori alimentari, tanto che oggi su tantissime etichette troviamo scritto che quel prodotto “non contiene olio di palma”. La frammentazione e la segmentazione che caratterizza il mondo dell’olio d’oliva mi spinge a pensare che anche in questo caso dovrebbe essere un movimento nato dal basso a guidare questa nuova battaglia.”

L’olio è morto, viva l’olio. Il settore è in crisi da tempo, basti pensare al tema dell’abbandono delle ulivete o alla drastica diminuzione delle imprese agricole. Al tempo stesso, però, ci sono nei territori elementi di grande originalità, vitalità e innovazione, come dimostrano tra le altre alcune delle esperienze premiate al Concorso turismo dell’olio promosso dall’Associazione Nazionale Città dell’Olio. Come trasformare l’innovazione dei singoli in innovazione di sistema?

 

“Noi oggi abbiamo tantissime grandi eccellenze, molti giovani soprattutto al sud che stanno investendo sull’olio, giovani che spesso sono andati al nord a studiare o a lavorare e poi hanno deciso di tornare nelle proprie terre. Si tratta spesso di iniziative innovative, di grande qualità, in grado di usare bene le leve del marketing e che non hanno problemi di mercato. Ma poi c’è la gran parte – stimo corrisponda al 60-70% delle aziende – che è fatta di piccole produzioni, spesso finalizzate all’autoconsumo, che sono state ereditate negli ultimi anni e si trovano ad avere appezzamenti di poche centinaia di ulivi che non vengono espiantati per ragioni affettive, ma che vengono sostanzialmente abbandonati. 

In questo contesto noi dobbiamo lavorare su quella nicchia di aziende e imprenditori che stanno investendo sulla qualità, per far sì che con iniziative come quelle che stiamo portando avanti sul turismo dell’olio si creino curiosità e attenzione sia nei produttori sia nei consumatori.

Un altro progetto in cui crediamo molto, come Città dell’Olio, e che potrebbe stimolare la curiosità di cui ho appena parlato, è quello della carta degli oli nei ristoranti, con la possibilità di acquistare bottigliette da 100 ml., ovvero l’interazione tra ristoratore e cliente. Questo permette alle persone, nel momento in cui hanno un godimento di tipo gastronomico ed edonistico, di percepire il ruolo dell’olio  assieme a quello del mondo che sta dietro a questo prodotto. 

Questi sono esempi di operazioni che possono ulteriormente far crescere iniziative che devono sollecitare il consumatore. Nel mondo dell’olio si continuano a fare tante conferenze e tanti convegni, ma si rischia di parlare sempre all’interno di una ristretta cerchia di addetti ai lavori e di non arrivare a coinvolgere il grande pubblico.

Valorizzare le tantissime eccellenze che ci sono, peraltro in continuo aumento, ci permette di investire in iniziative indirizzate ai consumatori. Anche creare iniziative di carattere sociale sui territori per il recupero delle olivete abbandonate può aiutare a coinvolgere i giovani e ad aumentare la percezione del valore reale dell’olio.

L’alternativa è la scomparsa di questo settore, perché le pressioni che sta subendo sono veramente forti.”

Chi salverà l’olio italiano? Difficile pensare ad un singolo attore (istituzionale o privato, individuale o collettivo) o un singolo intervento (una legge, una voce di finanziamento, una campagna informativa) che, come una bacchetta magica, possa mettere fine alla crisi del settore. Più realistico pensare ad una ricetta più complessa, in cui i diversi attori e i diversi interventi concorrono a creare un piatto alla cui riuscita tutti contribuiscono. Quali sono gli attori e gli interventi che compongono questa ricetta?

 

“Ci sono varie categorie che possono intervenire, perché l’olio ha una componente di sistema valoriale molto ampia. Lo abbiamo già ricordato: c’è l’aspetto salutistico, quello paesaggistico, quello ambientale, quello sociale, quello gastronomico. Intervenendo sul settore dell’olio, quindi, non si interviene solo a livello economico a vantaggio dei produttori. Bisogna intervenire sul settore nel suo complesso, perché interagisce con tante categorie di portatori d’interesse: a partire dal mondo della ristorazione e da quello dell’accoglienza turistica. Voglio fare un esempio in questo senso: se vado in Salento, dove non ci sono quasi più ulivi, la drammaticità paesaggistica che si percepisce è molto forte e tornando indietro rimane ben impressa nella mente, dando la percezione negativa di un dramma che lì è avvenuto.

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Il manifesto dell’olivo gentile

Il Manifesto dell’Olivo gentile presenta i pilastri che hanno fatto da base all’intero progetto da cui prende il nome, realizzato nel 2021 in collaborazione tra il gruppo di ricerca di sAu e l’Associazione Nazionale Città dell’Olio, e a tutte le iniziative che a partire da esso sono state ideate e sviluppate, con l’obiettivo di aggregare il mondo dell’Olivicoltura sociale, le Istituzioni e gli Enti Locali, i produttori, i lavoratori e i cittadini, ciascuno per le proprie competenze.

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Al contrario, l’effetto positivo di un paesaggio in salute è innegabile. Ma quel paesaggio è sempre opera dell’uomo, è il frutto di una comunità che lo vive e lo lavora, compresi gli amministratori. Questi ultimi hanno un ruolo strategico perché hanno la visione di quale possa essere lo sviluppo del territorio in prospettiva futura.

Un altro aspetto da cui non possiamo prescindere è quello culturale, che deve essere considerato parte integrante del settore. Faccio un esempio anche in questo caso: a Siena c’è il Buon governo (Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti) in cui vediamo i cereali, la vite e l’olivo nella loro massima “rigogliosità”; tra l’altro proprio nello Statuto comunale senese del 1428 c’è scritto che “E’ importante che città e campagna siano copiosi et abundanti d’olio, lo quale è una delle quattro cose più necessarie alla vita dell’omo”. Nella parte dell’affresco dedicata al cattivo governo, al contrario, tutto il paesaggio agrario viene incendiato e abbandonato. Questo ci dice molto, perché è parte integrante della nostra storia.

Tutti questi settori devono essere interconnessi, ma purtroppo nella maggior parte dei casi i finanziamenti pubblici sono indirizzati alla parte produttiva e non all’aspetto culturale del prodotto, che tiene dentro la comunicazione, la valorizzazione e la promozione di tutto il sistema valoriale che gira intorno all’olio. Se manca questo, rischiano di venire meno anche le motivazioni a continuare a coltivare l’olivo: per questo l’aspetto culturale è fondamentale, perché noi dobbiamo andare oltre la produzione.”

Per approfondire

La relazione tra paesaggio e salute è uno dei temi centrali nelle ricerche del Centro Ricerche sAu. Si veda a questo proposito il volume pubblicato da Eugenio Pandolfini su Il paesaggio nascosto. Quale comunicazione nei luoghi della complessità e le recenti recensioni pubblicate dallo stesso Pandolfini sulla nostra rivista ai volumi Se amore guarda, Suolo come paesaggio e 40 parole per la cura della città. A cura dell’autore di questa intervista, invece, si veda la noterella Prendersi cura del paesaggio o prendersi cura della salute? Appunti su una domanda mal posta.

Olio italiano, olio europeo, olio mediterraneo. Già è difficile parlare di ‘olio italiano’, data la grande varietà di cultivar e le peculiarità (produttive, sensoriali, organolettiche) dei tanti oli locali e regionali (sono una cinquantina tra DOP e IGP), se poi allarghiamo il campo all’Europa o al Mediterraneo la questione si fa ancora più complicata. La relazione tra oli italiani e stranieri (vedi Spagna e Grecia, ma anche Tunisia, Turchia, Marocco) è un gioco a somma zero o può trasformarsi – e come – in una relazione win-win?

 

“È inevitabile che il futuro dell’olio si giochi a livello del Mediterraneo perché la sfida, in termini di mercati, è il mondo intero. Dobbiamo pensare che a livello mondiale oggi il consumo di olio d’oliva non arriva al 4% delle materie grasse. Questo ci fa vedere chiaramente che è una sfida più ampia che riguarda i modelli alimentari, perché Mediterraneo significa ovviamente Dieta Mediterranea. 

In questo scenario non è concepibile che ognuno pensi per sé: ci sarà inevitabilmente una differenziazione, ma sempre all’interno di un contesto condiviso che è quello della cultura e della civiltà mediterranea. 

Noi abbiamo, attraverso la rete RE.C.O.MED, una collaborazione con tutti i paesi del Mediterraneo che va in questa direzione. La sfida è quella di far vincere a livello globale un modello alimentare in cui l’olio d’oliva è una componente importante, e da questo punto di vista la percezione che se ne ha all’estero è promettente. 

La sfida è enorme, basti pensare che il mercato mondiale è di circa 3 milioni di tonnellate, e il paradosso italiano che consiste nel fatto che il consumo è maggiore della produzione si vede anche a livello mondiale. Un paradosso che non si può comprendere se non si svelano gli interessi economici di pochi ma potenti gruppi che hanno interesse a spostare il consumo su altre tipologie di prodotti.

È una lotta che dobbiamo combattere tutti insieme, coalizzandoci nella promozione di una cultura che storicamente lega tutti i paesi che si affacciano su questo mare. La sfida, lo ripeto, è quella di far percepire al consumatore questo universo di valori che è dentro ogni bottiglia d’olio.”

Conclusioni

Nelle risposte di Balenzano emerge con molta chiarezza la criticità del momento storico che stiamo attraversando, in cui un’intera cultura che ha nell’olio e nell’albero dell’olivo una delle sue principali espressioni è a serio pericolo di scomparsa. Ma emergono con altrettanta chiarezza le strade che possiamo percorrere per non perdere – e anzi per rivitalizzare – questo inestimabile patrimonio: valorizzare il ruolo propositivo e innovativo dei giovani, coinvolgere nel discorso sull’olio (discorso inteso foucaultianamente) un maggior numero di portatori d’interesse, rafforzare la cooperazione tra i paesi produttori su tutte le sponde del Mediterraneo e, soprattutto, aumentare la consapevolezza dei cittadini rispetto all’universo di valori contenuti e rappresentati da una bottiglia d’olio, spezzando le attuali dinamiche di mercato che trattano questo prodotto alla stregua di una commodity, proprio come se fosse petrolio. Abbiamo quindi bisogno di una comunicazione autentica, non basata su slogan (tecnica che preferiamo lasciare ad altri), ma su dati contestualizzati e autorevoli, provenienti da un ampio ventaglio di ambiti disciplinari e interpretati secondo una prospettiva realmente transdisciplinare. Una comunicazione, ancora, in grado di saldare il legame tra il mondo della scientia e quello dell’usus, che a sua volta è diviso in una cerchia piuttosto ristretta di addetti ai lavori e in un molto più ampio numero di cittadini che non hanno una piena consapevolezza del reale valore dell’olio. É una comunicazione di questo tipo quella che stiamo cercando di attivare con il nostro progetto Nuovo EVO, del cui Comitato Tecnico Scientifico Antonio Balenzano è membro insieme a esperti di primo piano a livello nazionale e internazionale come Francesco Annunziato, Marco Bindi, Leonardo Casini, Francesco Di Iacovo, Roberta Garibaldi e Pier Luigi Petrillo.

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Autore

Marco Sbardella

Ph.D., Ricercatore e socio fondatore del Centro Ricerche scientia Atque usus per la Comunicazione Generativa ETS.

Svolge ricerca negli ambiti dello sviluppo rurale, del climate change e della comunicazione sanitaria.

Intervistato

Antonio Balenzano


Antonio Balenzano è il Direttore dell’Associazione Nazionale Città dell’Olio, che rappresenta più di 450 Enti pubblici italiani uniti nella salvaguardia dell’Olio Extravergine d’Oliva.

Come membro del CTS del progetto Nuovo EVO, è membro della Comunità di sAu

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