Recensione

Dal mais agli insetti. Il legame inscindibile tra cibo e potere

di Marco Sbardella | 02 02 2024

Tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo ripetuto la massima di Ludwig Feuerbach secondo cui ‘siamo ciò che mangiamo’. E l’elemento di maggior interesse di Storia delle nostre paure alimentari, il libro dello storico dell’Università di Parma Alberto Grandi, consiste proprio nel ribaltamento di questa prospettiva:

«L’uomo è ciò che mangia, certo, nel senso che le comunità umane costruiscono le loro identità sociali e culturali anche intorno al cibo, a ciò che mangiano. E di conseguenza anche intorno a ciò che non mangiano o a ciò che hanno paura di mangiare.» (p. 12)

Un ribaltamento che Grandi compie coniugando la ricerca storica con l’aneddotica, tirando le fila di una contro-storia della (non)alimentazione che è antica almeno quanto quella dell’uomo come animale sociale. Infatti, la storia dell’alimentazione – argomenta l’autore – non solo è corsa parallelamente a quella economica e sociale per tutta la nostra evoluzione, ma potrebbe esserne stata la scintilla:

«Sedersi intorno a un fuoco per mangiare crea relazioni e sentimenti che prima non esistevano o erano molto meno profondi e complessi. La sfera emotiva di quei nostri lontani progenitori divenne sempre più importante nel condizionare le loro scelte». (p. 22)

Il Libro

Storia delle nostre paure alimentari

Come l’alimentazione ha modellato l’identità culturale

Autore: Alberto Grandi

Anno: 2023

Editore: Aboca

Luogo di pubblicazione: Sansepolcro (AR)

Nella nostra lettura di questo libro sono emersi due principali fili conduttori intorno a cui Grandi dipana questa matassa: il primo è il rapporto tra città e campagna e il secondo l’esercizio del potere da parte dei politici, dei medici e dei religiosi (categorie spesso in concorrenza tra loro) su quelli che foucaultianamente verrebbe da definire i ‘corpi docili’ delle persone comuni.

Per quanto riguarda il primo punto non può che tornare in mente il concetto bourdieusiano di ‘distinzione’:

«sfamare la città era complicato anche per quanto riguarda la dimensione qualitativa, perché il cibo aveva, e ha ancora, un grande significato simbolico, per cui la popolazione urbana voleva ribadire anche attraverso l’alimentazione la propria diversità rispetto al mondo rurale, da cui in fondo tutti i cittadini provenivano. L’emancipazione da quel mondo avveniva attraverso il consumo di carne, in particolare quella di manzo, dal momento che quella di maiale era meno esclusiva» (p. 98)

Ambito di Intervento

Agricoltura e sviluppo del territorio

La recensione contribuisce alla ricerca del Centro Ricerche sAu sul concetto di valore: l’idea è che questo concetto debba essere ridefinito, allontanandosi da una definizione basata su parametri esclusivamente economico-finanziari.

A proposito del secondo focus, invece, Grandi rappresenta un quadro ben poco lusinghiero: una medicina che per gran parte della sua storia si è accostata all’alimentazione – sulla scia di Ippocrate e Galeno – con la stessa scientificità della magia o della superstizione, una Chiesa che ha regolarmente praticato la politica dei due pesi e delle due misure (esemplare in questo senso è il precetto del mangiare di magro) e un potere politico che spesso – qui si pensi alle epidemie che per secoli hanno sconvolto l’Europa con tragica regolarità – ha messo il consenso davanti all’effettiva efficacia delle misure prese. Ma anche il popolo minuto, quando si parla di paure alimentari, storicamente ha le sue colpe. Esemplificativo in questo senso è il caso del mais, che dal suo arrivo dal continente americano alla fine del XV secolo ha avuto una diffusione molto lenta e accidentata come alimento umano:

«A lungo il suo ruolo nell’agricoltura e nell’alimentazione restò secondario, nonostante fosse molto chiara fin dall’inizio la resa superiore a parità di superficie coltivata. […] Fu proprio l’uso iniziale come foraggio per gli animali a tenere lontani i contadini dal considerare il mais un cibo adatto anche all’alimentazione umana». (p. 71)

In conclusione, la lettura del libro di Grandi conferma – argomentandola dal punto di vista delle paure, dei tabù e dei divieti – una convinzione che abbiamo già affrontato anche in altri contributi di questo giornale (si vedano i correlati). Ossia che il cibo ha – da sempre – un immenso valore sociale e culturale e un altrettanto grande potenziale in termini di creazione di comunità. Ma a questi aspetti, il libro aggiunge un elemento a cui è necessario sempre prestare attenzione, l’altra faccia della medaglia della comunità: i rapporti di potere, di controllo, di sfruttamento, di sorveglianza che il cibo – nel suo consumo tanto quanto nella sua produzione – è in grado di alimentare e diffondere. Anche oggi, che si parli di carne sintetica o di farina di insetti.

Bibliografia/Sitografia

  • Bourdieu, P. (1983). La distinzione. Critica sociale del gusto. Il Mulino
  • Foucault, M. (1975). Sorvegliare e punire: Nascita della prigione. Einaudi
La recensione è a cura di

Marco Sbardella

Ph.D., Ricercatore e socio fondatore del Centro Ricerche “scientia Atque usus” per la Comunicazione Generativa ETS.

Consulente presso Lab CfGC. Insegna Teorie e Tecniche della Comunicazione all’Università di Firenze.

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