L’acqua per gli ultimi

Tecnologie per valorizzare il tocco umano
L’acqua per gli ultimi
Riflessioni attorno a un disegno inedito del Priore di Barbiana
di Lorenzo Orioli e Daniele Vergari | 26 05 2023

Di cosa parliamo in questo articolo?

Partendo da un appunto inedito di don Milani del 19 agosto 1956 conservato al Comune di Signa, l’articolo si propone di approfondire, attraverso le parole di don Milani e altri documenti inerenti all’argomento, il problema dell’acqua a Barbiana negli anni ‘50, che riguardava la comunità di contadini che allora vivevano sul monte Giovi.
Il priore di Barbiana si interessò al problema, cercando di trovare una soluzione per i suoi parrocchiani, e ha lasciato lettere e pensieri, ipotesi e progetti su questo tema cruciale. Dalla “Lettera dalla montagna” a “Esperienze pastorali”, per arrivare ai dati odierni sul problema della siccità, e i conseguenti eventi catastrofici ad essa legati – quanto accaduto in Emilia Romagna in questi giorni ne è un tragico esempio – ci proponiamo di cominciare una riflessione sui cambiamenti climatici e sui risvolti sociali che essi hanno avuto e hanno oggi sulla cittadinanza.

  • l’analisi del documento scritto da don Milani;
  • un approfondimento sul problema dell’acqua a Barbiana;
  • l’accusa di Don Milani nella “Lettera dalla montagna” del 15 dicembre 1955;
  • la relazione tra il pensiero e l’opera di don Milani e il problema odierno della siccità e dei cambiamenti climatici;
  • una riflessione sulla consapevolezza del problema dell’acqua oggi in relazione al pensiero milaniano

Ambito di Intervento

Tecnologie per valorizzare il tocco umano

Il Centro Ricerche sAu da anni porta avanti progetti di ricerca e sperimentazione sulle tecnologie vecchie e nuove, per favorire uno sviluppo tecnologico che non automatizzi l’uomo ma che, al contrario, lo aiuti a rafforzare la propria creatività e progettualità.

Introduzione

Le Lettere di don Lorenzo Milani durante l’esilio a Barbiana sono, sorprendentemente, fonti interessanti per la lettura del territorio e la conoscenza del rapporto tra Uomo e Ambiente che nel tempo si è co-evoluto sul Monte Giovi (991 m s.l.m.) in Mugello.
Un disegno inedito di Don Milani, datato 1956, ci permette di partire proprio dalla cronaca meteorologica di quell’anno, che fu caratterizzato da nevicate continue da gennaio sino alla seconda decade di marzo, con temperature che si fecero particolarmente rigide: «In chiesa è ghiacciata anche l’acqua santa che è fortemente salata. Vuol dire che c’è 8 o 10 gradi [sotto zero ndc]».
Il priore si era preoccupato per l’esito della semina del grano, mentre gli olivi avevano già subito gli effetti negativi del freddo.
Quell’anno, infatti, tutta la Penisola e l’Europa intera furono attraversate da un’ondata anomala di freddo e di neve, ricordata come la «nevicata del secolo», soprattutto in Toscana. La Stazione di Rifredo in Mugello registrò un minimo termico di -14,8 °C il giorno 3 febbraio 1956. Di contro, nell’estate, ci fu un «caldo mai visto», come scrisse il priore in una lettera alla mamma del 9 agosto di quell’anno.
La nota apposta sopra lo schizzo, nel giorno 19 agosto 1956, ci informa che erano quattro mesi che non pioveva, però, a Barbiana (462 m s.l.m.), era ancora fresco, e il grano, alla fine, aveva reso bene e 3 quintali sarebbero spettati alla pieve e alla scuola; insomma, gran freddo d’inverno e gran caldo d’estate.
E nel mezzo la siccità, complice anche la natura del substrato geologico, soprattutto laddove «la terra, da cui affiora il sasso, è molto povera».
La stazione meteorologica di Dicomano (a circa 8,5 km di cammino da Barbiana) registrò in quei quattro mesi (da aprile ad agosto del ‘56) 389,6 mm di pioggia, ovvero il 45,2% di tutta la pioggia caduta in quell’anno. Da giugno a settembre i giorni di pioggia furono solo 16. Nel 1956 la quantità di pioggia registrata presso la stazione di Dicomano fu circa l’80% della media annua calcolata nel periodo 1951-1980 relativamente alla Stazione di Rifredo, che prendiamo qui a confronto per i dati rappresentativi del Mugello.
La descrizione dell’anno meteorologico 1956 è un modo per attualizzare e riflettere sui cambiamenti climatici in atto, che tanti effetti hanno, e avranno, sulla disponibilità di acqua anche nelle nostre città. Contestualizzare il disegno e gli appunti di don Milani, ci obbliga dunque a parlare di acqua facendo riferimento al mondo naturale nel quale don Milani si trovò ad operare, e non solo come pastore delle anime a lui affidate.

Un prete montanaro

Don Milani accettò «il suo ruolo come ‘prete di montagna’, piuttosto che semplice prete di campagna, come parte del grande disegno di Dio». Questa accettazione lo portò a occuparsi di questioni tecniche in un contesto di agricoltura montana o collinare segnato dalla mezzadria. Sul rapporto fra don Milani e l’agricoltura non possiamo certo spendere che poche parole per ricordare come – da giovane – avesse vissuto a stretto contatto con la vita mezzadrile nella tenuta de “La Gigliola” (Montespertoli) di proprietà della famiglia e di come avesse assistito alle varie attività e sperimentazioni condotte dal padre Albano Milani nella stessa fattoria. Vicino a Barbiana, lungo le pendici settentrionali del Monte Giovi, vivevano poche famiglie. «Sono parroco di montagna non lontano da Firenze. Il mio popolo contava 230 anime nel 1935, ora ne conta 124. Solo dall’anno scorso in qua ne ha perse 24. Su 25 case ce n’è 7 vuote», così scriveva il 28 marzo del 1956 al Direttore del Giornale del Mattino di Firenze.

Progetto
Centro di Documentazione e Comunicazione Generativa “Don Lorenzo Milani”
Il progetto prevede l’ideazione e la realizzazione di un Centro di Documentazione e Comunicazione Generativa orientato alla progettazione, attraverso il quale sostenere e promuovere attività di formazione che si ispirano al pensiero e all’azione di don Milani, con una particolare attenzione all’importanza della scrittura.

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Lo aveva già fatto nel dicembre dell’anno precedente nella Lettera dalla Montagna, da lui stesso così intitolata, nella quale esprimeva l’urgente necessità di costruire un acquedotto che servisse 9 case sparse in quei di Barbiana. Sappiamo che in forza della legge 991 del 1952, a favore dei territori montani come quelli del Comune di Vicchio, il priore pensò di avvalersi del contributo statale a fondo perduto sul 75% della spesa dell’opera idraulica, stimata a 2 milioni di lire; la legge, invero, offriva questo contributo per la formazione di nuovi boschi o la ricostituzione di quelli degradati in aree di montagna oppure offriva mutui a consorzi cosiddetti di prevenzione tra proprietari privati. L’idea di portare acqua potabile a beneficio del popolo di Barbiana non proseguì a causa del capriccio del proprietario della sorgente con il quale i parrocchiani avrebbero dovuto consorziarsi. «Quel proprietario ha un carattere volubile. Una mattina s’è svegliato d’umore diverso e m’ha detto che la sorgente non la concede più. Ho insistito. S’è piccato». Don Milani era ben consapevole delle necessità idriche legate alla conduzione della campagna, all’irrigazione, non limitate al solo uso potabile. «Mi piacerebbe darti un’idea chiara» – scrive nella citata Lettera dalla Montagna – «di quel che significa l’acqua quassù […]: s’è fatto il conto che per ogni famiglia del popolo il rifornimento d’acqua richieda in media 4 ore di lavoro di un uomo valido ogni giorno» ovvero metà dell’orario di un operaio in città, ed in città «per l’acqua lavori dai tre ai quattro minuti». La Giornata Internazionale dell’acqua del 22 marzo 2023 ci ha recentemente ricordato che nel Mondo, oggi, quasi 1/3 delle scuole sono prive di acqua e igiene: «546 milioni di scolari non hanno accesso all’acqua potabile». L’immagine del “Santo Scolaro”, il mosaico a vetri colorati composto dagli studenti del priore nella Chiesa di Barbiana, sta lì a ricordarci, quasi come un monito, che l’accesso all’istruzione e l’accesso all’acqua sono le facce della stessa medaglia dell’ingiustizia. A Barbiana la scuola era partita solo da 6 piccoli montanari, nelle “Barbiane” del Mondo gli scolari sono milioni.

Il progetto dell’acqua

A nostro avviso, sulla base della sola cartografia disponibile, rimane ancora incerta l’esatta localizzazione geografica dell’area rappresentata nel disegno inedito attribuito al priore.
Il prato al centro dello schizzo non è da confondere con un’area con poche case chiamata appunto “Il Prato” (un toponimo) posta a circa 640 metri in linea d’aria dalla pieve, in direzione est e a quota inferiore (368 m s.l.m), così l’altro toponimo, “Castello”, a monte della pieve (541 metri s.l.m.), viene indicato in relazione ad un fosso.
Il citato “Fosso di Rimaggio” si situa distante, a ovest dell’agglomerato di Barbiana. Sappiamo poi che esiste anche il “Borro di Rimaggio”, che si trova invece a est e si biforca, a valle della pieve, rispettivamente nel ramo del “Fosso Faeto” e in quello del “Fosso del Fatino”, ubicato a circa un’ora di cammino.
Qui don Milani mandava i ragazzi a prendere l’acqua: «S’è passato tre giorni senz’acqua potabile» – scriveva alla mamma il 29 agosto del 1955. «Per fortuna avevo la casa piena di ragazzi (7 insieme a dormire) e mandavo loro fino al Fatino […]. Dall’ora in poi tutti i giorni mi han fatto la gita del Fatino con una damigiana e le mezzine e in più riportavano anche le trote».

L’inedito

L’acqua bene comune
Un disegno inedito di don Lorenzo Milani
Nell’ufficio del Sindaco di Signa, comune fiorentino, è incorniciato un appunto di don Lorenzo Milani, che il Centro Generativo pubblica e rende consultabile attraverso la Library di sAu.

Già alla fine estate del 1955 don Milani aveva in mente il progetto dell’acqua, il progetto dell’acquedotto: «Sto facendo quanto posso per avere l’acquedotto. Fino a ieri sera le cose andavano a gonfie vele» – scrive il 9 settembre di quell’anno. «Ier sera invece all’ingegnere [il Fiorentini] non andava più bene nulla. Mi aveva promesso una fonte e ier sera voleva darmene un’altra insufficiente. Ora tenterò di prenderlo un po’ con le buone, poi vedrò se c’è verso di farla espropriare. Alla peggio andremo a prendere un’altra fonte molto più ricca e molto lontana». La storia è conosciuta. L’esproprio della fonte non verrà eseguito, ma l’Ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze, che aveva in proprietà le due Fonti all’Acero citate nello schizzo, e delle quali si riporta perfino le portate idrauliche, si rese disponibile ad affittarle. Secondo quanto racconta Neera Fallaci (1974), il priore aveva preparato «un progettino: con disegni di case, indicazioni, frecce. Avrebbero imbrigliato la fonte dell’Acero su Monte Giovi in località Campestri. Ci sarebbero stati tre serbatoi: uno più piccino perché sarebbe servito a fornire acqua a due famiglie, solo per uso casa e non per irrigazione». In una lettera inviata all’amico Meucci (22 agosto 1956), il priore anticipava che le prime 4 case a dover essere servite sarebbero state quelle che si trovano al “Castello”, località in cui il su citato ospedale fiorentino ci aveva costruito molto tempo prima un convalescenziario. Però, «da tempo immemorabile l’Ospedale ha venduto queste case […] e da tempo immemorabile l’acqua di quella sorgente veniva a queste case per un condotto scoperto cioè un fossetto un po’ naturale un po’ artificiale e sempre bisognoso di cure periodiche […]». Lo scopo è quello di ottenere, «una volta sola e per sempre» la costruzione di un’opera di presa senza pagare l’acqua, avendola ottenuta in tutta la sua disponibilità e per giunta senza limite di tempo. Del resto quest’acqua «è sempre fluita verso Barbiana». Nel 1960, come attesta una lettera alla mamma del 14 ottobre, la questione acquedotto rimaneva ancora in sospeso, poiché i più restii a costruirlo erano proprio gli abitanti in località “Castello”.

Conclusioni

Il disegno di don Milani appare quindi la testimonianza di un progetto che oggi, per una serie di motivi, torna ad essere attuale in un contesto non più locale ma globale. La questione dell’acqua sembra coinvolgere nuovamente la nostra società in tutti i suoi livelli, colpa anche dei cambiamenti climatici, i cui effetti, alle nostre latitudini, tendono a modificare una risorsa fondamentale per la vita, percepita come essenziale ma impietosamente ed ignorantemente consumata.
Eppure fino a pochi decenni fa, le generazioni più anziane se ne ricordano ancora molto bene – l’acqua corrente era relegata all’ambiente cittadino mentre in molte aree rurali essa era assicurata da pozzi, sorgenti, depositi o – nel migliore dei casi – da piccoli acquedotti rurali realizzati nei primi decenni del XX secolo.
Se in pochi decenni l’acqua è diventata disponibile, in grande quantità, più o meno per tutti nel nostro Paese, la riflessione che può nascere dal disegno di don Milani è duplice: saremo in grado di assicurare l’acqua, potabile, come bene per tutti, come un servizio essenziale per tutti i cittadini? E saremo in grado di preservarla per le future generazioni? Queste domande meriterebbero di certo un approfondimento che esula da questa sede ma che faremo in futuro. È evidente che l’acqua, come bene essenziale, è in pericolo.

La sua disponibilità – colpa anche della nostra scarsa attenzione nel consumo – non sarà assicurata costante nel tempo. Non solo: forse dovremmo anche riflettere sulla qualità dell’acqua a disposizione, sulla sua salubrità. In questo senso l’esperienza del priore di Barbiana non è relegabile al passato ma attualizza proprio una problematica che non riguarda necessariamente una vasta area del Mondo ma anche le aree definite “interne” del nostro Paese. Si tratta di aree, come quelle montane, come quella Barbiana di 60-70 anni fa, dove i servizi si stanno ritraendo, dove gli investimenti, senza necessario ritorno economico in tempi brevi, si stanno riducendo. Aree interne che rappresentano la storia del nostro Paese ma che ormai tendono a vivere una condizione, che potremmo definire esistenziale, di isolamento e marginalizzazione. Comunità rurali, montane, piccole e ormai rappresentate da anziani e da famiglie di lavoratori spesso immigrati, rappresenteranno i nuovi ultimi, perché accanto all’acqua sarà l’accesso a servizi essenziali come la scuola e la sanità ad essere sempre più a rischio. L’accesso ai servizi significa il riconoscimento di diritti e pari dignità e opportunità come descritto nell’art. 3 della Costituzione.
Don Milani nel suo isolamento mugellano oltre 70 anni fa, occupandosi di un piccolo acquedotto rurale, lo aveva ben compreso, profeticamente.

Bibliografia

  • Fallaci, N. (1974), Dalla parte dell’ultimo. Vita del prete Lorenzo Milani. Milano: Milano Libri Edizioni;
  • Mayo, P. (2013), Lorenzo Milani in Our Times. In «Policy Futures in Education», 11, 5, 2013, p. 517;
  • Milani, L. (1990), Alla mamma. Lettere 1943-1967. (Battelli, G., a cura di). Genova: Marietti Editore;
  • Milani, L. (1977), …E allora don Milani fondò una scuola. Lettere da Barbiana e San Donato. (Lancisi, M., a cura di). Roma: Coines Edizioni;
  • Milani, L. (1970), Lettere di Don Lorenzo Milani priore di Barbiana. (Gesualdi, M., a cura di). Milano: Mondadori.

Sitografia

  • Settore Idrologico e Geologico Regionale. Archivio storico/dati – link
  • UNICEF. Giornata Internazionale dell’acqua: l’UNICEF presenta attività educative alle scuole per sensibilizzare sul tema. In Scuola amica. 10 febbraio 2023 – link
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Autore

Daniele Vergari

Agronomo e storico, Accademico corrispondente dei Georgofili. 
Si occupa di storia agraria e ambientale collaborando con varie riviste.

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Autore

Lorenzo Orioli

Agronomo, funzionario presso l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, specializzato in Studi Antropologici e Geografici.
Già docente a contratto per discipline ecologiche, in Italia ed all’estero. Ha lavorato in Africa e nei Caraibi.

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