Cultura e Società

Distretti del Benessere

Gli elementi chiave di un modello di progettazione al futuro che nasce dalla valorizzazione delle risorse esistenti

I punti salienti di un’intervista al dott. Luciano Malfer

di Viola Davini | 30 10 2024

Di cosa parliamo in questo articolo?

Il presente articolo riporta i principali punti emersi da un’intervista con Luciano Malfer, Research and Family Development Manager presso la Fondazione Bruno Kessler, già Dirigente dell’Agenzia per la famiglia della Provincia Autonoma di Trento. Dopo un excursus storico sulle principali tappe che hanno portato alla definizione di un modello di progettazione incentrato sul benessere delle persone e sulla valorizzazione del capitale sociale, verranno discussi i principali risultati ottenuti nella Provincia Autonoma di Trento. L’articolo si conclude con una prospettiva che apre scenari inediti, volti a implementare questo modello in altri territori interessati a sviluppare innovazione, partendo dal potenziamento delle risorse esistenti.

 Il Trentino è spesso citato come esempio di un territorio che è riuscito a sviluppare politiche familiari e di natalità, mettendo al centro tre elementi chiave: persona, benessere e coesione sociale. Potremmo far risalire questo impegno al 2009, con la pubblicazione del “Libro Bianco su famiglia e denatalità”. Tuttavia, in questo contesto, non parliamo solo del Trentino, ma di un modello vero e proprio. Quali sono state le principali tappe che hanno trasformato il contenuto del “Libro Bianco” in sperimentazioni concrete sul territorio?

La storia di questo modello di sviluppo a livello locale ha un punto di partenza cruciale nel 2009. Fu in quell’anno che l’amministrazione provinciale del Trentino decise di chiedere una elaborazione strategica incentrata su tre temi fondamentali: benessere, famiglia e natalità. Erano molte le problematiche da affrontare, e vennero tutte raccolte e approfondite in un documento essenziale, il “Libro Bianco su famiglia e denatalità [LINK]”. Un documento ambizioso, che già allora, pur in un contesto demografico meno critico di oggi, si poneva l’obiettivo di riflettere a lungo termine su temi fondamentali per il territorio e la comunità. Il Libro è nato grazie al coinvolgimento attivo dei portatori di interesse locali. Tanto che proprio da un progressivo ascolto, si arrivò a definire 45 punti d’azione che delineano un quadro strategico per mettere in campo e realizzare politiche e interventi nell’ambito dello sviluppo locale. Uno dei concetti più emblematici emersi da questo processo fu che “per crescere un bambino ci vuole un villaggio”. Questo richiamo alla necessità di coinvolgere tutti gli attori della comunità segnò una svolta importante. Significava che non solo le istituzioni, ma anche la società civile, le famiglie, il mondo del lavoro e l’intero tessuto sociale dovevano lavorare insieme per costruire un ambiente favorevole al benessere della persona e della famiglia. Elementi come la qualità della vita, la cooperazione, il lavoro in rete e una buona amministrazione si rivelarono centrali per questo tipo di approccio. Il 2011 segnò un’altra tappa cruciale con l’adozione di una legge su famiglia e benessere, che diede vita a una serie di strumenti amministrativi per concretizzare le idee contenute nel “Libro Bianco”. 

Naturalmente, ogni territorio presenta caratteristiche specifiche, quindi non tutte le soluzioni sono replicabili altrove. Tuttavia, alcuni elementi, come il coinvolgimento attivo della comunità e la collaborazione tra istituzioni e società civile, possono essere adattati e trasferiti in altri contesti. È importante sottolineare che questo processo è nato dal basso, dal forte attivismo dell’associazionismo familiare locale, che ha saputo coinvolgere le istituzioni e la classe politica. Da quel momento, sono state sperimentate e sviluppate diverse metodologie e strumenti, che hanno incluso l’impiego di figure professionali formate appositamente per affrontare le nuove sfide. Questa evoluzione non è stata lineare.

Nel corso degli anni, molteplici fattori, come la crisi economica, la crescente crisi demografica e l’avvento dell’era digitale hanno richiesto costanti aggiustamenti delle politiche. Anche il rapporto tra istituzioni e cittadini è cambiato radicalmente, richiedendo un continuo adattamento degli strumenti e delle metodologie utilizzate. Tuttavia, il cuore del modello è rimasto lo stesso: mettere al centro la persona, il benessere e la coesione sociale.

Abbiamo accennato alla necessità di partire dalla cooperazione tra diversi attori. Questo potrebbe essere un elemento strategico per affrontare la questione delle “risorse” (che spesso sono indicate come un ostacolo iniziale per attivare questi progetti…)?

«La questione delle “risorse” è sempre un tema delicato. Partire dal presupposto che le risorse siano insufficienti può rappresentare un vincolo, e chiaramente le risorse sono necessarie per realizzare qualunque tipo di progetto. Tuttavia, ciò non significa che l’assenza iniziale di risorse economiche debba bloccare l’attivazione di un processo. Spesso, il processo stesso è in grado di rimettere in discussione i criteri di allocazione delle risorse. Il pensiero strategico può infatti anticipare le risorse economiche, anziché aspettarle. In molti casi, si rischia di spendere risorse solo perché disponibili, senza una vera strategia. Invece, attivare processi sinergici, creando convergenze tra obiettivi strategici e operativi, permette di ripensare l’allocazione delle risorse, ottenendo un effetto più mirato e incisivo.
Un altro punto fondamentale riguarda le risorse già esistenti sul territorio. Spesso non vengono pienamente utilizzate o valorizzate. Ad esempio, gli enti pubblici dispongono di una serie di leve amministrative, oltre che economiche, per intervenire sul territorio. Pensiamo ai bandi di gara e agli appalti pubblici: orientare questi strumenti verso fornitori che rispettano criteri di sostenibilità, benessere e creazione di valore per la comunità è una leva potentissima, che spesso non viene sfruttata al massimo.

Progetto

Viareggio Futura

Un progetto di ricerca-azione partecipata – condotto secondo il paradigma della Comunicazione Generativa – per costruire un modello di sviluppo durevole e sostenibile della Città di Viareggio, facendo emergere i tratti distintivi e valoriali che costituiscono l’identità profonda della Città, per ridefinire in maniera significativa il modello urbano e di sviluppo territoriale su cui si basano Viareggio e i suoi luoghi.

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Poi c’è il tema dell’economia della saturazione. In molti territori esistono infrastrutture e servizi sotto-utilizzati: trasporti pubblici, musei, impianti sportivi, case sfitte, piste da sci non completamente sfruttate. Queste risorse possono essere ottimizzate, aumentando l’utilizzo senza comportare costi aggiuntivi. Per esempio, se un autobus o un treno viaggiano con pochi passeggeri, il costo rimane lo stesso, quindi riempire quei posti vuoti rappresenta un’opportunità per offrire maggiori servizi a costo zero. Questo approccio è particolarmente utile in territori non saturi, dove le infrastrutture e i servizi esistenti hanno margini di utilizzo ancora elevati. Pensiamo a molte aree periferiche o rurali d’Italia: sfruttare meglio le risorse esistenti può generare un impatto significativo senza richiedere ingenti investimenti iniziali. Inoltre, dobbiamo considerare le risorse immateriali, come il capitale relazionale. Ogni territorio ha un capitale di relazioni, che non è un elemento trascurabile. Le reti di collaborazione e la qualità delle relazioni possono fare la differenza. Un territorio con relazioni solide e fiduciarie tra i vari attori economici, sociali e istituzionali è un territorio che può costruire valore e opportunità. Più relazioni di qualità esistono, maggiori sono le possibilità di collaborazione e sviluppo. Il capitale relazionale è una risorsa strategica che, se ben gestita, può generare valore economico, sociale e culturale. L’idea è di sviluppare i “Distretti del benessere”.

I Distretti del Benessere si ispirano al modello economico dei distretti, dove le organizzazioni di un territorio collaborano attorno a un prodotto specifico. In questo caso, il “prodotto” è il miglioramento della qualità della vita della comunità. Attraverso una rete di collaborazioni gratuite, si costruisce un reticolo fiduciario che rafforza il tessuto sociale e favorisce la coesione territoriale.

L’obiettivo è sviluppare e sperimentare nuove metodologie di ingaggio, aumentando il capitale relazionale, che diventa foriero di sviluppo locale. La scommessa dei Distretti è specializzare il territorio su una convergenza valoriale comune, dove il benessere diventa il motore che unisce le diverse realtà, creando fiducia, opportunità e un ambiente più inclusivo e coeso».

Nei progetti di innovazione ci si scontra inevitabilmente con ostacoli, conflitti e errori. Come si gestiscono queste “difficoltà” in una progettualità che, per definizione, mira a portare un cambiamento?

«L’innovazione è sempre associata a un certo grado di rischio, e questo vale anche per i progetti di politiche pubbliche o sociali. Tuttavia, questi processi devono essere accompagnati da un monitoraggio costante e da un’adeguata capacità di lettura delle reazioni del territorio. La chiave sta nell’essere flessibili, pronti a modificare e correggere il tiro in base ai feedback che arrivano. Non si può aspettare troppo tempo per capire se un progetto sta funzionando: è fondamentale intervenire rapidamente per valorizzare ciò che funziona e correggere ciò che non va. Il rischio è una componente intrinseca dell’innovazione. Come mi disse una volta il sindaco di Trento “c’è sempre un grande rischio nell’innovazione, perché non è mai certo il risultato”. Ma il rischio è necessario per ottenere cambiamenti. Se continuiamo a fare le stesse cose, non possiamo aspettarci risultati diversi. Bisogna essere disposti a sperimentare nuove modalità, a ingaggiare nuovi attori e a modificare gli approcci tradizionali per ottenere risultati diversi e migliori. Ridurre il rischio significa accompagnare costantemente il processo, adattando le strategie e gli strumenti utilizzati.

L’innovazione non è mai lineare e richiede un presidio costante di tutti gli elementi che la compongono. Progettazione di qualità, formazione degli operatori, comunicazione adeguata: tutti questi fattori devono essere presenti. Se anche uno solo di questi elementi viene trascurato, l’intero progetto può fallire.

È come una catena: la forza di un progetto innovativo dipende dalla presenza e dalla qualità di tutti i suoi anelli.».

 Ogni territorio ha le sue caratteristiche uniche. Pensiamo alla Toscana, con il suo forte tessuto socio-sanitario e il ruolo del volontariato. Un modello come quello del Trentino può essere d’ispirazione per altre regioni, come la Toscana?

Ogni territorio ha i suoi punti di forza e le sue specificità. Non esiste un modello unico che possa essere replicato ovunque. Tuttavia, il modello trentino può certamente offrire degli spunti importanti, soprattutto per quanto riguarda il concetto di mettere al centro la persona e costruire politiche basate sulle esigenze locali. Questo richiede un’analisi di contesto accurata per capire quali elementi del modello possono essere adattati e integrati in un determinato territorio. La Toscana presenta un solido capitale sociale, caratterizzato da un elevato numero di associazioni di volontariato e un sistema socio-sanitario efficiente, elementi chiave per sviluppare un modello locale funzionale. Il volontariato, in particolare, rappresenta un asset strategico, sebbene in molte aree stia progressivamente riducendosi.

È fondamentale, quindi, implementare interventi mirati alla valorizzazione e al rafforzamento di questo capitale sociale per garantire un modello di sviluppo sostenibile. Il modello, però, deve essere contestualizzato e personalizzato in base alle specificità del territorio, evitando approcci standardizzati che non tengano conto delle variabili locali.

Le dinamiche territoriali richiedono un’analisi approfondita dei punti di forza per sviluppare soluzioni calibrate. In Toscana, ad esempio, il volontariato giovanile e l’interesse dei giovani per la sostenibilità costituiscono un potenziale da sfruttare, rappresentando una leva strategica per l’implementazione di un modello capace di coinvolgere le nuove generazioni e favorire il cambiamento.

Conclusioni

Il modello di sviluppo locale presentato e i risultati ottenuti confermano che esistono strade percorribili per costruire “Territori in salute”, ovvero territori in cui, grazie alla cooperazione di soggetti diversi, vengono realizzate politiche e interventi basati sulla valorizzazione del benessere delle comunità. Adottare questo approccio significa abbandonare la logica del profitto a tutti i costi e iniziare a esaminare le risorse esistenti, consapevoli che progettare il futuro non significa tracciare un percorso già definito, ma attivare processi che, se generativi, possono condurre a risultati inattesi. Questo modello richiede, in primo luogo, flussi e strumenti di comunicazione che rafforzino la cooperazione, lo scambio di informazioni e il monitoraggio delle attività progettuali, nonché una riconsiderazione del ruolo attivo della cittadinanza. Tutto nasce dall’ascolto dei bisogni dei cittadini, conferendo a ciascuno – pur nel rispetto della diversità di ruoli e responsabilità – il diritto di esprimere il proprio potenziale, ma all’interno di un progetto di comunità che è comune. Un altro aspetto fondamentale è l’idea di “innovazione” che emerge, comune anche alla visione della Comunicazione Generativa, che non si riferisce alla creazione di un prodotto da trasferire o replicare in altri contesti alla fine del progetto, ma piuttosto alla costruzione di processi di trasformazione e rinnovamento in un sistema più ampio. Ciò include il progressivo coinvolgimento di portatori di interesse che condividono un obiettivo comune basato su una visione fortemente valoriale: la centralità della persona, il benessere della comunità in una dimensione individuale e, al tempo stesso, collettiva.

Ambito di Intervento

Cultura e Società

Se vogliamo che la complessità sia un valore e non una fonte di crescenti problemi, è necessario elaborare una visione e delle pratiche che ridefiniscano il rapporto fra scientia e usus.

Bibliografia/Sitografia

  • Malfer, L., Dorigatti, M. (a cura di) (2022). Politiche familiari, coesione sociale e benessere. VITREND
  • Malfer, L. (a cura di) (2019). New public family management. Welfare generativo, family mainstreaming, networking e partnership. Franco Angeli
  • Malfer, L., Prandini, R. (a cura di) (2018). Welfare aziendale e benessere della persona. Primo rapporto sulla politica nazionale «Family Audit». Franco Angeli
  • Malfer, L., Siniscalchi, E. (a cura di) (2016). Festival della famiglia di Trento. L’ecosistema vita e lavoro. Occupazione femminile e natalità, benessere e crescita economica. Franco Angeli
  • Malfer, L. (a cura di) (2013). Family Audit: la nuova frontiera del noi. Linee guida per la certificazione aziendale. Franco Angeli
  • Malfer, L. (2011). Fattore 4. Uno slogan per la sostenibilità del welfare. Franco Angeli
  • Provincia Autonoma di Trento (2009). Libro Bianco sulle politiche familiari e per la natalitàlink

Autore

Viola Davini

Ph.D., Ricercatrice e socia fondatrice del Centro Ricerche “scientia Atque usus” per la Comunicazione Generativa ETS
Consulente presso Lab CfGC del PIN di Prato

Intervistato

Luciano Malfer 

Research and Family Development Manager presso la Fondazione Bruno Kessler, già Dirigente dell’Agenzia per la famiglia della Provincia Autonoma di Trento.