La costituzione: maestra di futuro per i giovani

Cultura e Società

La Costituzione: maestra di futuro per i giovani

Intervista a Irene Stolzi

di Marco Sbardella | 13 09 2024

Di cosa parliamo in questo articolo? 

A pochi giorni da Education for a Healthy Society: Challenges and Opportunities for Democracy (il primo incontro delle “Conversazioni di sAu”), abbiamo intervistato la Prof.ssa Irene Stolzi, Direttrice del Dipartimento (Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze) che ospita l’evento. Con la Prof.ssa Stolzi abbiamo discusso di cosa significhi per una società essere in salute, di che ruolo hanno in essa i giovani e di quali responsabilità abbiano i loro educatori. Infine, una riflessione è stata dedicata all’attualità della lettura che don Lorenzo Milani, già negli anni Cinquanta e Sessanta, dava della nostra Costituzione, e della coerenza delle sue azioni di promozione della giustizia sociale.

Ambito di Intervento

Cultura e società

Il Centro Ricerche sAu collabora da anni con scuole, università e istituzioni, lavorando sull’educazione alla cittadinanza attiva e consapevole per le giovani generazioni.

Introduzione

Mercoledì 18 settembre si terrà presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze il primo incontro delle Conversazioni di sAu, che avrà come ospite principale il filosofo dell’educazione Gert Biesta. Il focus dell’incontro riguarda il ruolo della scuola come laboratorio di cittadinanza attiva, critica e creativa. Il Centro Ricerche sAu è convinto che ogni atto di cittadinanza rappresenti un “atto di partecipazione”, mirato a costruire territori in cui il sistema sociale, culturale, economico e politico utilizza la comunicazione come strumento per ascoltare i bisogni della cittadinanza, garantendo pari accesso ai diritti fondamentali: l’istruzione, il lavoro, la sanità. Tutti valori imprescindibili sanciti dalla nostra Costituzione. 

L’incontro sarà aperto dalla Prof.ssa Irene Stolzi, direttrice del Dipartimento di Scienze Giuridiche e dal dott. Gabriele Gori, Direttore di Fondazione CR Firenze. E proprio con la Prof.ssa Stolzi, in questa intervista, abbiamo introdotto alcune delle tematiche che saranno approfondite durante l’incontro.

Mercoledì 18 settembre il Dipartimento che Lei dirige ospiterà l’evento Education for a Healthy Society: Challenges and Opportunities for Democracy (il primo incontro delle “Conversazioni di sAu”). Nel titolo è evidente il richiamo al concetto di società in salute: dal suo punto di vista, quali sono state e soprattutto quali sono le condizioni necessarie affinché una società possa essere considerata una società in salute?

Si tratta di una domanda di estrema complessità, alla quale si può rispondere diversamente a seconda del punto di vista che si assume. Un medico, un sociologo e un politologo penso che darebbero indicazioni differenti anche se, immagino, non necessariamente in contraddizione tra loro. Detto questo, mi pare di potersi ricavare un minimo, banale, suggerimento: una società in salute è l’esito di una complessa interazione di fattori che dovrebbero integrarsi in maniera armonica o quanto meno non troppo conflittuale. Un esempio minimo, ma eloquente: in riferimento ad alcune realtà produttive del paese è stata talora presentata come insolubile l’alternativa tra lavoro e salute: se si tutelano i posti di lavoro, si compromette la salute delle persone e del territorio e viceversa. Credo che questo sia l’effetto di una visione parziale (e strumentale) di questioni complesse, che richiederebbero tutt’altre capacità di visione e progettazione.

Traslato sul fronte della riflessione scientifica, mi pare che questa domanda contenga un invito forte alla interdisciplinarità, non intesa, come troppo spesso capita, quale insegna vuota e accattivante, buona solo a giustapporre orientamenti e punti di vista, ma come modalità di relazione ragionata tra saperi e competenze, come strumento indispensabile a progettare tratti di strada comune.

Mi sembra anche – spero di non sbagliare – che in questa domanda sia racchiuso il riferimento a un altro profilo, non meno importante, quello che chiama in causa l’importanza di un dialogo costruttivo tra riflessione teorica e voci dell’esperienza. Si tratta di due dimensioni ugualmente necessarie: non si può fare a meno della teoria (si può invece serenamente rinunciare al nozionismo) perché la teoria è il luogo delle idee e senza (buone) idee si va poco lontano. Ma non si può, né si deve rinunciare a misurarsi con la realtà, con le sue sollecitazioni e le sue pratiche, perché altrimenti si rischia una pericolosa autoreferenzialità.

Acta diurna

Education for a Healthy Society: Challenges and Opportunities for Democracy. A Conversation with Gert Biesta

La prima delle “Conversazioni di sAu”, che affronta il tema del ruolo della scuola come laboratorio di cittadinanza attiva, critica e creativa

Per me, di formazione giuridica, forse la parola chiave è pluralismo, che rappresenta una delle cifre centrali, identificative, della democrazia. Pluralismo non vuol dire coesistenza – di poteri, realtà, attori privati e pubblici ecc. – ma vuol dire coltivare una qualità delle loro relazioni coerente con i contenuti e i valori della democrazia, contenuti e valori che la nostra Costituzione fissa con magistrale chiarezza.

Un altro filo conduttore dell’evento sarà la relazione tra educazione e democrazia. L’Università e la scuola sono due mondi che lei conosce molto bene e quindi vorremmo sapere il suo parere su come si può generare o rafforzare nei giovani la consapevolezza di quanto sia vitale – ma al tempo stesso non scontato – il nostro sistema democratico?

Si tratta di un compito non facile, ma indeclinabile. Un buon punto di partenza può essere rappresentato da qualche chiarimento preliminare che talora sfugge nella percezione comune e che serve a identificare in maniera più chiara le caratteristiche dello spazio democratico e a tenere lontane alcune letture fallaci. Sintetizzando in maniera brutale: parlare di democrazia non significa riferirsi a semplici regole del gioco. La democrazia è un edificio complesso (e per questo delicato) che ambisce ad ancorare la convivenza alla realizzazione di determinati contenuti e a una organizzazione dei poteri ritenuta coerente con la realizzazione di quei contenuti. Basta leggere i primi 12 articoli della Costituzione per ricavare i contorni di un progetto di convivenza che abbraccia molte sfere della vita individuale e collettiva e che declina in modo innovativo alcuni principi già noti al costituzionalismo precedente (si pensi al secondo comma dell’art. 3 e alla nuova, rivoluzionaria, concezione dell’eguaglianza che esso ci offre). 

Ecco, entrare in un’aula e dire: senza contenuti la democrazia è un fantoccio, è efficace. Nel concreto vuol dire spiegare a giovani e meno giovani, che il suffragio universale è condizione necessaria, ma non sufficiente, a qualificare un contesto come democratico (le dittature riconoscono il suffragio universale e cercano di conseguire consensi oceanici). O ancora: vuol dire spiegare che democrazia non è decidere a maggioranza, perché la maggioranza può prendere (e storicamente ha preso) decisioni aberranti. Le norme di discriminazione razziale promulgate in Italia nel 1938 erano norme formalmente perfette, adottate nel rispetto delle procedure previste. Ma erano norme con contenuti liberticidi e persecutori. Da queste notazioni minime e scontate, si può iniziare a ragionare sui contenuti, in astratto, ma anche offrendo alla riflessione dei giovani casi complessi che implichino un bilanciamento di principi diversi, che obblighino a ragionare sull’idea di convivenza democratica. Che obblighino, in sintesi, a un ragionamento sull’oggi e sul domani.

Un rischio che, a mio parere, va sventato è quello di celebrare alcuni capitoli, pur gloriosi, della nostra recente storia in maniera agiografica. L’agiografia, infatti, tende a essere statica e contemplativa. Non è questo lo sguardo che a mio parere va rivolto alla Costituzione o al lavoro dei costituenti. Quando Piero Calamandrei parlava della Costituzione come di un testo presbite – cioè che vedeva male da vicino e bene da lontano – indicava due aspetti essenziali: sottolineava, da un lato, come la costituzione nascesse in un contesto di enormi difficoltà presenti e, dall’altro, indicava nel futuro il terreno di principale per l’attuazione della Costituzione stessa, vedeva in essa un testo chiamato ad abitare il futuro a guidarne gli svolgimenti. Ma l’attuazione della Costituzione non ha carattere automatico: la vitalità della Costituzione, la sua capacità di guidare il processo democratico, richiede la presenza di forze politiche e sociali capaci di solcare una tensione complessa, che è quella tra contenuti e soluzioni. Cioè: certi contenuti e principi vanno tenuti fermi, vanno ritenuti presìdi irrinunciabili della democrazia; al contempo, serve la capacità di trovare soluzioni nuove per dar corso a quei principi e contenuti anche nel mutare dei contesti storici. Perché dico questo? Perché è importante rendere i giovani attori di questo cambiamento, farli sentire parte di un presente che può e deve porsi il problema del futuro.

Uno storico di valore ha recentemente notato come uno degli aspetti più problematici del nostro tempo sia la “scomparsa del futuro”, ovvero la difficoltà a immaginare il futuro e, ancor prima, a percepire il futuro come qualcosa che può essere immaginato e costruito. Questo significa costringere a vivere i nostri giovani in una innaturale bolla di presente che, come tale, affossa le energie e rende apatici. E credo che, per scongiurare un simile orizzonte, sia di fondamentale importanza un ingrediente invisibile, ma decisivo, la fiducia.

C’è un episodio che tante volte ho ricordato perché mi ha molto colpito: qualche anno fa ero in un liceo a parlare di Costituzione. Ero in una quinta ed eravamo vicini alle elezioni politiche. Quasi tutti i ragazzi avrebbero votato, per cui ho chiesto loro se avessero scelto cosa votare e soprattutto come avessero maturato la loro idea di voto. La risposta mi sorprese: di fronte ad una classe di diciottenni, nativi digitali, attaccati per molte ore al giorno al cellulare e con la possibilità di accedere a una quantità potenzialmente sconfinata di informazioni, mi sentii rispondere che avevano maturato la loro scelta politica in due modi: attraverso un confronto in famiglia (e quindi aderendo, oppure distanziandosi, dalle opinioni politiche dei genitori) ovvero affidandosi al consiglio di una persona (l’allenatore di sport, il maestro di musica, il vicino di casa ecc.) di cui avevano sperimentato la serietà in altri campi della vita. Una richiesta forte di prossimità umana, di relazioni capaci di suscitare fiducia. Penso che questo serva in tutti i campi: coltivare relazioni (sociali, educative, politiche) nelle quali si alimenti la fiducia (beninteso: fiducia non ha nulla a che vedere con l’affidamento, più o meno cieco, alle virtù taumaturgiche di un leader).

Gli altri contributi dell’Ambito

Paulo Freire, più di sempre. Una biografia filosofica

di Alessandra Anichini

Il volume di Walter Omar Kohan, Paulo Freire mais do que nunca: una biografía filosòfica, viene pubblicato in Brasile nel 2019, quando il governo di Jair Bolsonaro ha già avviato l’offensiva nei confronti del patrono da educacao brasileira.

Durante il mese di agosto abbiamo assistito ad uno scambio sui quotidiani tra lo storico Gianni Oliva e il Ministro Giuseppe Valditara. Oliva, commentando l’anticipazione delle linee guida dell’insegnamento di educazione civica fatta dal Ministro, ha affermato: “Non si può formare un cittadino consapevole se manca la conoscenza della storia contemporanea, di ciò che è accaduto negli ultimi decenni, di com’è maturata la Costituzione”. E il Ministro ha replicato affermando di aver istituito “un gruppo di lavoro per la revisione delle Indicazioni nazionali di storia perché finalmente gli studenti conoscano anche gli eventi dell’ultimo dopoguerra, conoscenza fondamentale per essere cittadini consapevoli”. Qual è il suo punto di vista su questo argomento, come storica del diritto?

A questa domanda darò una risposta molto breve anche perché sono, diciamo così, di parte. Come ricercatrice ho lavorato sostanzialmente sul Novecento, su quello totalitario e su quello democratico. E sono riuscita, già da qualche anno, a inserire nel corso di studi in giurisprudenza un insegnamento obbligatorio intitolato ‘Novecento giuridico’. Ritengo, in sostanza, che sia essenziale conoscere anche la storia più recente. Non perché più immediatamente legata alle radici del nostro presente – a livello storiografico i discorsi sulle radici sono sempre molto scivolosi – ma perché credo che sia una zona della storia attraverso la quale si riesce a ragionare su questioni rilevanti anche per il presente. Non si tratta, evidentemente, di fare classifiche: tutte le epoche meritano di essere studiate e vanno studiate. Ma spesso succede che si offre una conoscenza anche molto dettagliata di periodi molto lontani nel tempo, e poi si ha il baratro, o quasi, sulla storia del Novecento. Ci sarebbe da fare poi un discorso sul come si insegna la storia. Spesso i ragazzi la detestano perché viene loro inflitta come un insieme inerte di nomi e di date. Bisognerebbe rinunciare a molti nomi e date, e aprire le porte al ragionamento, per far capire che la conoscenza storiografica è una interpretazione ragionata del passato, è un modo per cogliere i tratti caratteristici delle diverse epoche e per confrontarsi col complesso e tortuoso diagramma delle continuità e delle discontinuità. A volte si ha la sensazione che i ragazzi non sappiano dire perché il medioevo non è la modernità, ma solo indicare una serie di eventi, come se galleggiassero in un vuoto pneumatico.

Progetto

Centro Generativo “Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana”

Un Centro di Comunicazione Generativa, di documentazione e di progettazione per sostenere tutte quelle realtà – a partire dal mondo della scuola e dell’associazionismo – che sono impegnate a ripensare concretamente e a praticare oggi, nei contesti più vari, i valori “milaniani”.

Vuoi saperne di più? Scopri di più sul progetto

Il nostro Centro Ricerche ha ideato e realizzato il Centro Generativo “Don Lorenzo Milani e Scuola di Barbiana”, con il sostegno della Fondazione CR Firenze e la collaborazione di un CTS di cui fanno parte tra gli altri la Rettrice dell’Università di Firenze prof.ssa Alessandra Petrucci, il prof. Andrea Simoncini del suo Dipartimento, don Andrea Bigalli, coordinatore della Commissione diocesana su Barbiana, Referente regionale di Libera Toscana ed ora presidente dell’Associazione di volontariato Stenone di Firenze, il prof. Marco Giovannoni direttore dell’Istituto di Scienze Religiose della Toscana e il Prof. Mauro Ceruti. Don Milani nella sua pratica di maestro e nei suoi scritti pubblici faceva richiami continui alla Carta Costituzionale, di qualsiasi cosa si stesse occupando. Può essere quello uno spunto attuale per la nostra scuola, per non rischiare di relegare l’educazione civica ad un corpo estraneo rispetto al resto del curricolo o ad una materia di serie b?

Credo che la risposta sia positiva. Don Milani aveva colto il significato profondo della Costituzione, ovvero il fatto di essere una Carta che ambisce a regolare e orientare alcuni aspetti e assetti essenziali delle nostre società anche in un’ottica di trasformazione delle gerarchie socio-economiche esistenti. Direi che il suo faro è stata l’idea di eguaglianza che nella Costituzione riceve una declinazione nuova e inedita (nel primo comma, col riferimento alla pari dignità sociale; nel secondo, con l’idea di eguaglianza sostanziale). Ha capito anche che l’istruzione poteva essere un formidabile volano di crescita personale e sociale, solo a patto che la scuola accettasse di confrontarsi sul serio con le enormi diseguaglianze della società italiana degli anni Cinquanta e Sessanta. 

I diritti sociali (come quello all’istruzione) sono diritti che funzionano se effettivi, se effettivamente garantiti, mentre una scuola escludente e classista è una scuola aperta a tutti solo sulla carta, mentre nei fatti tende a perpetuare le differenti condizioni di ingresso. 

Dalla metà degli anni Cinquanta, da diverse prospettive, iniziano a levarsi voci e azioni volte a chiedere, con forza, l’attuazione della Costituzione soprattutto nei confronti degli ultimi, dei vinti. Negli anni di Barbiana, dall’altra parte dell’Italia, c’è Danilo Dolci, dalla parte dei poverissimi della Sicilia a reclamare il dovuto sguardo delle istituzioni su popolazioni e luoghi dimenticati da tutti e lasciati alle angherie di signorotti locali.

In conclusione, tornando all’iniziativa del 18 settembre. L’evento organizzato, con l’aiuto del Dipartimento che Lei dirige, dal nostro Centro Ricerche con il sostegno della Fondazione CR Firenze, intende favorire una conversazione fra il Prof. Biesta, filosofo dell’educazione di autorevolezza internazionale, ed esperti di storia del diritto come il Prof. Massimiliano Gregorio e di scienze dell’educazione Prof. Gabriella Agrusti, sulla relazione tra educazione e salute della democrazia. Comunicazione, educazione, diritto, salute: qual è, dal suo punto di vista, il valore aggiunto di questa impostazione transdisciplinare e che risultati sarebbe bene che emergessero da questo incontro?

La riposta a questa domanda – soprattutto con riferimento all’incontro tra discipline – è in gran parte compresa in quanto detto sopra. Dal punto di vista del diritto, che è poi il mio, mi sento solo di dire questo: la relazione con altre aree del sapere aiuta a ricordare che – come dico sempre ai miei studenti – non esistono le regole, ma le scelte regolative. Cioè: le regole non arrivano dall’iperuranio, munite di una loro oggettiva razionalità, ma sono il frutto di scelte, della scelta di regolare in un certo modo un certo fenomeno. Questa consapevolezza aiuta a vigilare sulla salute delle nostre società e a lavorare insieme per avere, anche in punto di diritto, regole adeguate alle richieste di una democrazia del terzo millennio.

Conclusioni

Con questa intervista la Prof.ssa Stolzi ha introdotto perfettamente l’evento Education for a Healthy Society: Challenges and Opportunities for Democracy e messo sul tavolo un ventaglio di tematiche e di spunti di riflessione che potranno essere raccolti e interpretati dai relatori. Tra questi, possiamo sottolineare la relazione tra giovani e Costituzione e la necessità che essi esercitino una cittadinanza attiva, l’importanza della conoscenza della storia, ma anche della capacità di progettare il futuro, la differenza tra democrazia formale e sostanziale e l’importanza della fiducia e della relazione umana nell’educazione delle giovani generazioni. Tutti temi che potremmo riassumere citando un celebre passaggio della Lettera ai giudici di don Milani: «La scuola […] siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità […], dall’altro la volontà di leggi migliori cioè di senso politico».

Autore

Marco Sbardella

Ph.D., Ricercatore e socio fondatore del Centro Ricerche scientia Atque usus per la Comunicazione Generativa ETS. Consulente presso Lab CfGC.

Svolge ricerca negli ambiti dello sviluppo rurale, del climate change e della comunicazione sanitaria.

Intervistata

Irene Stolzi

Professoressa Ordinaria di Storia del diritto Medievale e moderno e Direttrice del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Firenze.